Il presidente degli ormeggiatori di Genova: “La Diga è un’opera epocale, porterà più lavoro nello scalo”
Flavio Bertorello guida gli Antichi Ormeggiatori: “L’incognita per il rispetto dei tempi del cantiere è il meteo”
Monica Zunino
Ormeggiatori nel porto di Genova (foto d'archivio)
Genova – La nuova Diga del porto di Genova? «È un’opera epocale». Con la speranza che anche il meteo sia un alleato e non una difficoltà: «Mi auguro che non remi contro, costringendo a concentrare troppo il lavoro del cantiere per rispettare la scadenza al 2026».
Flavio Bertorello, 49 anni, da due alla guida del Gruppo antichi ormeggiatori del porto di Genova, che si occupa 365 giorni all’anno, 24 ore su 24 di fare attraccare correttamente le navi nello scalo, spiega come si stanno preparando, cosa cambierà per il loro lavoro e pure per il bacino di Sampierdarena nella parte della nuova banchina che senza più i “denti” del pettine dovrà essere attrezzata in modo diverso anche con bitte più robuste e sistemi di monitoraggio elettronico per consentire ormeggi in sicurezza a navi più grandi e più esposte al vento. «Abbiamo assolutamente bisogno di arrivare in tempi brevi a pieno organico – spiega -. E poi con l’aumento delle dimensioni delle navi e l’auspicata crescita dei traffici, quando la nuova diga sarà operativa, non potrà che esserci un nostro maggiore coinvolgimento e impegno di uomini e mezzi».
Partiamo dai numeri.
«Oggi siamo 59, la pianta organica è di 64: siamo in attesa del concorso per assumere 5 ormeggiatori. E proprio alla luce dell’inizio lavori per la nuova diga li aspettiamo con trepidazione. Abbiamo 13 motobarche, di cui tre possono lavorare in offshore. L’ultima abbiamo finito di costruirla da poco. Abbiamo avuto problemi con i cantieri e l’abbiamo completata grazie alla nostra attrezzata officina interna che in passato ci ha permesso di autoprodurre tre barche, collaborando con un cantiere che poi si è trasferito fuori Italia. Ne stiamo cercando un altro che possa rispondere alle nostre esigenze, ma non è facile».
Come sarete coinvolti nel cantiere della nuova diga?
«Il nostro lavoro sarà l’ormeggio - con una nostra imbarcazione e una squadra dedicata – invece che in banchina in offshore, alle boe appositamente installate, delle navi che operano nel cantiere e dovranno scaricare materiale in mare».
Quando sarà operativa il vostro lavoro cambierà?
«Il bacino di Sampierdarena potrà ospitare navi oltre i 400 metri di lunghezza. Per noi vorrà dire un maggiore impegno. Ormeggiare una nave di quelle dimensioni non è come ormeggiarne una da 200 metri: sarà imprescindibile l’utilizzo da terra di mezzi dotati di argani che permettono il trascinamento dei cavi con una potenza superiore rispetto agli attuali. Ci imporrà di sicuro l’utilizzo di più uomini e quello fisso di più barche. Dovremo immaginare anche più bitte sulle banchine e l’uso degli shore tension, che consentono il monitoraggio dell’ormeggio e un’equa distribuzione delle forze in atto su tutti i cavi della nave ormeggiata, come avviene a Pra’, dove entrano già portacontainer più grandi e picchia il vento di tramontana che, anche se in misura minore, in inverno tira anche a Sampierdarena e con la banchina lineare si sentirà di più rispetto a quella a pettine».
I cambiamenti climatici influiscono sul porto?
«Il dato più evidente è che negli ultimi anni registriamo cambi sempre più repentini e violenti di condizioni meteo. Abbiamo assimilato la possibilità che un brusco cambiamento si verifichi in una manciata di minuti, quindi siamo più in allerta e chiamati a dotarci sempre più di mezzi affidabili e potenti».
La nuova diga serve al porto di Genova?
«Il dato certo è che oggettivamente permetterà quello che oggi non è concesso: avere 800 metri per le evoluzioni delle navi grosse è una potenzialità in più. Che poi questo possa tradursi in aumento di traffici reali è l’auspicio di tutti».
Nessuna perplessità?
«È un’opera così dirompente ed epocale, una scommessa in cui non si può fallire, che qualche preoccupazione la desta in chiunque. Ad esempio le tempistiche, con la scadenza obbligata di fine lavori al 2026. Una banalità: periodi frequenti di condizioni meteo avverse potrebbero portare a concentrare in 4 mesi quello che si era immaginato di fare in 6, con un aggravio di lavoro per tutti. Speriamo che i prossimi non siano inverni particolarmente severi».
Il trasferimento dei depositi chimici a Ponte Somalia?
«Non ho le competenze per dire se Ponte Somalia, o la nuova diga, siano l’ubicazione giusta. Per quanto riguarda noi ormeggiatori, siamo capaci e attrezzati per lavorare nei terminal petroliferi e potremmo lavorare anche in offshore, come sulla vecchia boa del Porto petroli a Multedo. Quello che ci limitiamo ad auspicare è che siano prese in considerazione le esigenze di tutti quelli che ne saranno coinvolti».
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