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LA PASQUA DEL PORTO: CROCEFISSO IN ATTESA DI RESURREZIONE

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Port City, primavera 2012. Hanno invocato Barabba, come da tradizione millenaria. Ma finito in croce, questa volta il porto di Genova rischia di non risuscitare. Con la coda di Giuda Iscariota in cassa per finanziare campagne elettorali ritirando la percentuale sui trenta denari elargiti negli ultimi cinque anni, il blocco granitico del potere locale offre in pasto al popolo il futuro di Genova, lavandosene le mani. Atei devoti, pagani in fregola festiva, massoni e scettici. Trafficanti di compromessi, mediocri cultori dell’omologazione sociale, banchieri e pizzicagnoli con i cuori a forma di salvadanai, borghesi radical chic, attivisti di una sinistra tendenzialmente radicale, speculatori e parassiti, efficaci interpreti dell’antica natura comunista: più una città è grigia, subalterna e isolata, meglio è controllabile.

Le prospettive sono legate alle rendite. L’accanimento astioso e rancoroso verso il porto, lo shipping, l’industria marittima e le poche aziende che ancora producono occupazione e redditi è scientifico, meticoloso, mediatico, trasversale. Un antagonismo quotidiano che non può essere giustificato solo dalla paranoia o da turbe psichiche. Non c’è un leader o un candidato che riunisca insieme sotto lo stesso dialetto i genovesi che, per lasciarsi andare alle emozioni, chiedono complessità e sincerità imbarazzante, coraggiosa, scandalosa, estrema. Non c’è chi ci racconti chi siamo, attraverso un fitto gioco di testa e di cuore. Del porto, del lavoro e dell’economia della città, in questa fase, sembra davvero non preoccuparsi nessuno: produrre nuovi beni e nuovi servizi, lottare contro le disuguaglianze per creare nuova domanda, rendere la città più pulita e più giusta come premessa per uscire dalla crisi sono solo spiedini di nuvole. Semmai si pensa a come condizionare il candidato, se verrà eletto. Oppure, molto più semplicemente, a come trarre i piccoli vantaggi dalla Genova consociativa di sempre. In questa primavera a nessuno importa la presenza nel tessuto cittadino di grandi imprese di traffico (spesso dileggiate) o di importanti centri di tecnologia, che iniziano a guardare in altre direzioni (Torino, Milano, Bologna).

I portuali della Culmv sudano freddo per far quadrare i conti in bilancio e Marco Doria, saldo nella sua scelta di “decrescita felice”, riflette sulla pretesa del Comitato che vorrebbe chiudere il terminal di Voltri dalle 22 alle 6 per il chiasso dei container. Rinnovamento, voglia di cambiamento? Ma dai... è un bluff. Doria – sponsorizzato MicroMega - esprime una visione della crescita (porto e attività collegate) gravemente rinunciataria. Senza che nessuno dei partiti che lo sostengono, provi minimamente a rimediare. Agli amici del Pd consiglierei di rivedersi quel passaggio di “Caccia a Ottobre Rosso”, in cui il capitano del sommergibile russo che insegue, lancia il siluro-boomerang contro il sottomarino nucleare del comandante Marko Ramius. E di scolpirsi bene la battuta del secondo in plancia: “Ci hai ammazzati tutti, str….!”.

Enrico Musso propone due signore di peso per la gestione futura della cosa pubblica come Roberta Oliaro e Paola Girdinio. Ne nasce una smart alliance per una smart city e per uno smart port e per una smart society un po’ post moderna da una parte e poco realistica dall’altra, se si pensa che il sostegno decisivo al senatore è garantito da un rinoceronte della politica come Rosario Monteleone. Vinai galleggia ecumenico. Edoardo Rixi, al netto del Trota ripassato in salsa Belsito, lancia un messaggio di segno vagamente portuale mettendo la faccia sull’autonomia finanziaria, battaglia superata che non rovina nemmeno più i sonni di Francesco Nerli.

Al secondo piano di Palazzo San Giorgio, il Sindaco del Porto ingrigisce tra incomprensioni e rimpianti. Frenato dalla politica, pressato dal mercato, svuotato dalle fatiche di quattro anni consumati a ricostruire sulle macerie. Luigi Merlo twitta da solo, con i Lating King alla porta e i malandrini sui moli. Schiacciato da una montagna di problemi che ammazzerebbero un elefante. Qualche colpa ce l’ha: si autocandida fuori tempo massimo per salire a Tursi, ma non spende una parola per lanciare Franco Mariani, che avrebbe messo tutti d’accordo esclusi ovviamente i boss del Pd. Ma l’80% dei genovesi gli urla ancora che il porto è Dio, è la sola via d’uscita. La gente delle calate gli fa capire che è finito il tempo delle mezze stagioni e del ribrezzo manifestato sottotono.

Genova non è una città per turisti, non c’è più niente da vedere. Adesso bisogna schierarsi, appassionarsi. Essere per, essere contro. Certo, servirebbe molta generosità per sottrarsi allo stillicidio compulsivo della politica di quartiere. Serve uno Stato (Autorità portuale) che garantisca l’investitore, il gestore e il consumatore (cioè noi) rispetto al libero arbitrio delle altre istituzioni, del sindacato, dei comitati, degli anti-partiti e delle lobby o di chiunque passi per strada o si svegli la mattina deciso a gettare fango. Serve un Presidente che non si limiti a celebrare e che cacci i mercanti e gli idioti dal tempio. Merlo deve giocare un ruolo di primo piano, imporre la sua strategia sociale, economica, infrastrutturale. Palazzo San Giorgio deve essere protagonista. Idee chiare, progetti visibili e credibili.

Auguri. E buona Pasqua!

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