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Porti, le mosche che volano sulle riforme di Bersani

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Genova. In questo nostro Paese irrisolto e malato, Bersani nelle sue amabili metafore rifiuta di pettinare le bambole e di asciugare gli scogli. Però il leader del Pd rischia di farsi mangiare il pisello dalle mosche lasciando passare sotto il naso la spregiudicatezza con cui Monti, dopo aver provocato danni irreversibili alla salute degli operatori portuali, si candida a referente dell’economia del mare, lanciando una shipping list comprensiva di spedizionieri (Oliaro), agenti marittimi (Morasso) e industria nautica (Vitelli). Un ceto, una fascia di popolazione portuale, un mondo di imprese e lavoro che la squadra di tecnici al governo ha compresso fino all’irrilevanza sociale, cioè fino all’invisibilità.

La replica del Pd insidiato dalle lobby è sconcertante, se non grottesca: un meeting che a Roma riunisce i capi del partito insieme a esperti d’area e amministratori del centrosinistra. Cioè quasi tutti i maggiorenti che hanno finora annacquato le riforme. La missione? Elaborare e proporre la linea del Pd di governo per l’economia marittima. Paradossalmente, il partito che schiera tre ex ministri dei Trasporti (lo stesso candidato premier oltre a Burlando e Treu), il presidente di Assoporti (Merlo), parlamentari che frequentano camalli e marinai, amministratori di Authority (da Gallanti a Mariani), sindacalisti del settore e leader del movimento operaio delle banchine e dei cantieri, non sa ancora a che santo votarsi per salvare l’Italia marinara dalla bancarotta e dal consociativismo. E’ un bluff, naturalmente. Perché anche se il centrosinistra di temi e progetti per cui valga la pena di sognare ne detta sempre pochini, gli economisti del Pd conoscono bene le nuove regole del gioco sui moli e in mare aperto. Ma caratterizzare sul porto un disegno politico di riforme e sviluppo, significa accettare scontri e contrapposizioni nelle infinite e rissose periferie del partito. Con un convegno pre elettorale si sistemano le cose e ci si lava la coscienza…

Gli specchietti per le allodole rischiano però di trasformarsi in boomerang. C’è un mondo intero che oggi aspetta proposte e impegni concreti. Intanto il Pd dovrà dire se pensa a confermare il solito ministero onnicomprensivo o se intende restituire dignità e rappresentanza governativa ai porti e alla marineria. Scegliendo un titolare (possibilmente ligure) che sappia di che cosa parla. Dovrà spiegare per quale manovra fiscale del settore intende incatenarsi ai banchi del parlamento. E poi: ammesso che il Pd punti su un modello europeo di portualità, farà seguire la pratica dai parlamentari di terza fila com’è accaduto finora o investirà i migliori talenti? E’ il momento di pensare in grande. I porti che vogliono autonomia, devono mettere in conto anche la fine delle consorterie e delle corporazioni, delle rendite di posizione e dei piccoli campanili. E anche la revoca dei finanziamenti inutili e la nascita di una programmazione degna di un paese civile.

Per dimostrare di valere come forza di governo, il Pd di Bersani dovrà affrancarsi dalla politica dei compromessi e degli intorta menti a destra e a manca: guardare in alto, proporre una legge sui porti radicalmente diversa da quella fortunatamente naufragata in Parlamento. Una riforma che modifichi completamente ruolo e sostanza delle Autorità portuali, le accorpi, le tagli, scelga le migliori come strumenti di sviluppo, le renda snelle. Una legge che imponga dignità al tema del lavoro, una politica nazionale in grado di dialogare ad armi pari con le grandi multinazionali del mare e dei trasporti senza rischiare ricatti o imposizioni. Una strategia che selezioni le infrastrutture necessarie, punti sulla liberalizzazione dei servizi e il rilancio della ferrovia nei porti. Il Pd è al bivio: o conferma il bluff o lancia un progetto innovativo e lo affida a uomini di capacità e sostanza.

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