Cantieri chiusi, Voltri in panne: ma è pronta una nuova Authority nella città di Amleto
Senza adeguamenti immediati sulle banchine e nuove infrastrutture, un giovane su quattro non avrà futuro occupazionale a Genova. Ma il sindaco-Amleto dipinge sul Secolo XIX il suo affresco di inadeguatezza e dilemmi. Il porto è l’ultimo fondale di una scena che condanna Genova all’emarginazione. Tagliata fuori dal mondo. Annientata dall’incuria, devastata dall’insufficiente manutenzione, sporca, degradata, inospitale. Non c’è angolo che non sia in attesa di qualcosa che non viene mai. Come presidente di Assoporti, Luigi Merlo chiede al governo un decreto urgente, poche norme per garantire la sopravvivenza e sbloccare l’autonomia finanziaria. Gli rispondono con spiccioli di elemosina, scippandogli anche il Terzo valico. Ma scagliarsi contro l’astuto Letta e il disorientato Lupi è ormai un bluff, un rassicurante alibi per la catena della politica e degli affari al comando, che da gennaio ad oggi non ha fatto partire i lavori per realizzare le infrastrutture (piccole o medie ma vitali) in nessuno dei cinque o sei cantieri già finanziati. Zero ricadute, niente lavoro. Il rinvio è la regola, le parole vuote la cornice. E’ evidente che i responsabili delle amministrazioni locali rallentano scientificamente una macchina burocratica già inchiodata. Accampano scuse, sfoderano improbabili equilibrismi, perdono bussola e buon senso in uno scenario sempre più demenziale e marcio, in cui il premio spetta solo alla minoranza che blocca lo sviluppo della città. I bastimenti non riescono a far manovra nel porto vecchio causa mancati dragaggi nell’uscita di Ponente. I magistrati scoprono (adesso) che molte manovre sono a rischio, fuori protocollo. Non sapevano? Non sanno che ogni giorno il porto potrebbe chiudere? O che mezza città si ribella all’idea di dragare qualche fondale? E intanto il sindaco-Amleto non ha ancora scelto su quale “mission” puntare.
Ma c’è anche di peggio. Al Vte gestito dal gruppo Psa di Singapore, nell’unico grande e vero porto per i container, esplodono i problemi devastanti innescati dalle scelte e dalle sciagurate gestioni delle precedenti amministrazioni dell’Authority. Che l’attuale vertice con struttura interna al seguito dovrebbero risolvere a tempo di record. Dovrebbero. Il risultato è che oggi il terminal non può programmare i propri investimenti e rischia di non essere più in grado di reggere la competizione sul mercato, assistendo impotente ad un possibile svuotamento delle banchine. L’intervento più importante è a costo zero: il superamento possibile dei limiti attuali del cono aereo. Senza questo handicap, il gruppo di Singapore è pronto ad acquistare nuove gru, in grado di operare sulle mega navi dell’ultima generazione. Per farle entrare, bisogna pulire il fondale per riportarlo al pescaggio di 15 metri. E poi ci sono da costruire solo 300 metri di binario per raddoppiare l’accesso ferroviario. Cinque secoli fa i genovesi investivano almeno per necessità, oggi perfino interventi limitati diventano ostacoli insormontabili.
In questo scenario (amletico), amministratori e parlamentari stanno per farsela fare un’altra volta sotto il naso. Il ministro Lupi forzerà la mano proponendo la terna di nomi per l’Autorità dei Trasporti. Se così fosse, si tratterebbe di un atto importante, in bene o in male. Con un governo sostanzialmente debole, si darebbe vita ad un’Autorità che per molti anni avrebbe mano libera su ferrovie, porti e shipping, intermodalità, aeroporti e autostrade. Se fossero nominati amici dei partiti o persone del tutto incompetenti e inaffidabili, il rischio sarebbe elevatissimo. L’altro rischio è che una nuova Autorità renda le cose ancora più complicate. Le amministrazioni centrali e locali competenti sui porti sono già decine. Ne servono altre? E per fare che cosa? E chi paga?
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Genova era un approdo straordinario per la sua grandezza e i genovesi furono i primi a cimentarsi nel gigantismo navale: costruivano navi sempre più grandi per portare più merci a minor costo, più armate per difendersi dalla pirateria che imperversava lungo tutto il Mediterraneo. Durante la rivoluzione navale del secondo Ottocento lo stesso porto, allora percepito come immenso, divenne piccolo, tanto da costringere le navi più grandi a evoluzioni complesse… Corsi e ricorsi. C’è da imparare visitando la storia del porto in scena al Museo del Mare. Si scopre soprattutto che il rapporto complesso e contraddittorio con la città ha antichissime origini. Genova non ama il porto, lo considera un peso troppo caro da sostenere, investe solo per convinta necessità. Nel 1546, i genovesi issano in fretta e furia le mura di mare contro la flotta turca. Scavano i fondali della Darsena per far spazio alle galee di Andrea Doria per difendere la città. E nel Seicento, la Repubblica ha la forza di effettuare uno straordinario investimento, realizzando il Molo Nuovo, con fondali che vanno dai 15 ai 20 metri. E non c’era ancora la “maledizione” delle gigantesche portacontainer… Solo il calcolo, ben poco amletico, del dare e dell’avere.
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