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Riforma stellare: lo sceriffo ingabbia i porti e il ministro si dilegua

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Lo chiamano “sceriffo”. E’ lapidario sull’indagine dei magistrati a suo carico: “Ogni opera pubblica, un procedimento giudiziario… Tranquilli! Siamo in perfetta media inglese”. Vincenzo De Luca, vice ministro senza deleghe ai Trasporti, sindaco in carica di Salerno e robusto sponsor di Matteo Renzi, è il volto nuovo dello shipping e dei porti ma anche del Pd che ingabbia le riforme: un orgasmo di doppi e tripli incarichi, di arrogante incompetenza e menefreghismo, di consociativismi e consorterie, di appagamento clientelare, di disprezzo delle esigenze del lavoro. Maurizio Lupi lo ignora, non gli assegna incarichi, lascia intendere che vorrebbe scrollarselo di torno. Ma intanto già frena, inchiodato dagli interessi trasversali dei territori potenzialmente intaccati: l’epocale riforma dei porti annunciata un mese fa all’assemblea delle Authority dal ministro dei Trasporti è finita nel cassetto. Dopo un avvio travolgente, Lupi sta facendo marcia indietro e ricorda il primo Matteoli che voleva ridurre a cinque le Autorità “multiporto” e finì poi per inserire nel calderone anche Trapani e Manfredonia. Del resto, basta graffiare un po’ la vernice posticcia e cresce il livello di frustrazione e disincanto. Il provvedimento normativo “salva portuali” invocato dal presidente Merlo proprio su Pilotina, non è stato inserito dal governo nella legge di stabilità. I burocrati del ministero giudicano l’emendamento di sostegno al lavoro troppo assimilabile ad un aiuto di Stato. Ma i retroscena raccontano del fuoco di sbarramento anti-Genova e anti-Culmv scatenato dagli altri porti, come se quello del lavoro non fosse un problema drammaticamente collettivo.
Un salvagente lo può ancora lanciare la Camera, sempre che i deputati coinvolti riescano a ritagliarsi potere contrattuale per rimodellare e far passare l’emendamento. Non è un bel segnale. Il ministro è politico furbo e intelligente. Ma, appunto, è un politico formato alla vecchia scuola scudocrociata. Capisce bene che non serve rattoppare la legge 84/94, quanto piuttosto lanciare un moderno modello portuale nazionale, una riforma avanzata che consenta al sistema di agganciare il mercato dei traffici e tutelare il lavoro. Lupi lo ha anche annunciato pubblicamente. E immediatamente è scattata la restaurazione e le lobby si sono scatenate a tuttocampo. La maggioranza di Assoporti si è chiusa in un’opposizione compatta e ha mandato messaggi in codice al ministro: il leader Pasqualino Monti (Civitavecchia) non ne vuol sapere, Forcieri (La Spezia) è dubbioso, come pure il nostro amico Franco Mariani (Bari). Tutti contrari i piccoli porti. In Senato la Commissione trasporti ha alzato le barricate.
E pare anche che alle calcagna di Lupi, proprio per frenare la riforma, si sia messa la presidente dell’Authority di Trieste, Marina Monassi, paladina della conservazione. E così, al ministero dei Trasporti, nei ritagli di tempo concessi dalle botteghe dei partiti di governo, si balla un valzer surreale. Il lunedì Genova viene insignita di valenza strategica: unico porto di Stato, il solo in grado di ricevere le portacontainer da 20.000 teu, tutti gli altri alle Regioni. Il martedì si rivedono i testi e le Authority risalgono a 6 e il giorno dopo a 15. Il giovedì si costituisce l’Agenzia e si sopprimono i piani regolatori, il venerdì nascono le Authority spa. Il patron di Msc, l’armatore Gianluigi Aponte, interpellato da Lupi dice che la riforma conta poco e che sono centrali gli off docks (e il ministro per due giorni si chiede che cosa siano). Per i terminalisti va tutto bene, purché si proroghino le loro concessioni possibilmente senza gara.

Gli uomini di Lupi convocano un meeting di tutti i direttori generali annunciando la svolta e questi osservano solo che saranno indispensabili i revisori e serviranno commissari tecnici (cioè loro). Intanto, nessuno crede più nell’Italia dei porti, nemmeno per i traffici verso il Far East. La situazione è compromessa, si sta definitivamente rinunciando a servire l’Europa, il traffico sulla pianura padana arriva già da Rotterdam, Amburgo o Anversa. Bisognerebbe tentare il recupero coinvolgendo chi possiede e manovra il business. Ma si perpetua il niente, in perenne assenza di una politica portuale nazionale e di una vera riforma strutturale. Gongola solo lo “sceriffo”.

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