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Riforma portuale: Renzi intrappolato nella tela dei ragni

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RIUSCIRÀ il Pd di Matteo Renzi nell’incredibile impresa di farsi scavalcare da destra e da sinistra, diventando il simbolo fallimentare e arrogante della vecchia e consolidata portualità clientelare, corporativa e inefficiente? E soprattutto: esiste la reale volontà politica di scalfire il muro di gomma di chi siede nella “situation room” delle banchine italiane, a cominciare dagli inespugnabili capi-burocrati del ministero? In queste ore la riforma dei porti ipotizzata dal ministro Lupi è invischiata negli incroci di potere e di correnti, in ambizioni personali e mediocri strategie di governo. È una ragnatela trasversale che dal Senato si allunga alla Camera passando per i vertici di Assoporti e le direzioni generali del ministero dei Trasporti, distesa proprio per intercettare e intrappolare qualsiasi tentativo di cambiamento suggerito o imposto per decreto. La stessa Debora Serracchiani, governatrice del Friuli-Venezia Giulia scelta da Renzi come esperta di porti e shipping, forse vorrebbe ma tentenna… Da una parte è pressata dai senatori del Pd (capeggiati dal livornese Filippi) che rivendicano la centralità di un parlamento immobile da vent’anni, dall’altra la riforma la vorrebbe fare lei e non cederla a questo governo. Atmosfera ideale per i boss territoriali che trattano i porti come merce di scambio e di profitto consociativo e continuano a farsi gli affari loro. E Lupi? Ci prova dallo scorso ottobre, quando al conclave di Assoporti concordò con il titolo di presentazione del Secolo XIX: “Associazione finta, assemblea inutile”. L’anticipazione di una svolta. Poi, come accade tutti gli anni, gli eventi si sono sovrapposti, la legge di stabilità ha avuto un percorso più accidentato del solito e la riforma del sistema logistico portuale è rimasta nel cassetto.

Nei giorni scorsi, per evitare artificiosi conflitti istituzionali, il ministro ha inviato le linee guida della sua riforma ai presidenti delle Commissioni trasporti di Camera e Senato, Michele Meta e Altero Matteoli. Il testo dovrebbe contenere molti degli spunti che i presidenti Costa (Venezia), Gallanti (Livorno), Merlo (Genova) e Monassi (Trieste) hanno sottoposto, senza ricevere risposta, ad Assoporti. E cioè riduzione e accorpamenti delle Authority, creazione dei distretti logistico portuali, semplificazioni procedurali, nuova natura giuridica degli enti con maggiori poteri di intervento. Un modello timidamente europeo, insomma, sostenuto da programmazione nazionale coerente, per evitare almeno sprechi e opere inutili.

È una opportunità più unica che rara in una sfida decisiva. Non è un caso che nei palazzi della politica e in Assoporti serpeggino apprensione e agitazione. Per scontata coerenza, Matteo Renzi dovrebbe schierarsi con l’impostazione di Lupi e Letta senza esitazioni. Ma se finisse ai voti, i pochi riformisti delle calate resterebbero con il cerino in mano. Improbabile che il segretario del Pd punti sul genovese Merlo e si schieri contro il suo personalissimo sponsor De Luca, sindaco di Salerno e imbarazzante vice ministro senza deleghe. O tagli l’erba sotto i piedi dei conservatori ad oltranza come Filippi o di quelli a metà come Forcieri. E il mercato, le infrastrutture vitali per sopravvivere, i grandi operatori internazionali che chiedono un cambio di passo all’Italia e certezze per investire? Perfino il parlamentare di Sel, Stefano Quaranta, si è schierato per un progetto riformista. Ma forse Renzi non se lo può permettere.

Eppure un leader credibile è sempre lo strumento di qualcosa che lo trascende. Deve essere un “ariete” e un vessillo, oltre che un tattico e uno stratega. Deve dare gambe, braccia, voce e testa a idee, ad un progetto di cambiamento, ad una mobilitazione collettiva. Tra sospetti e sfiducia, questi ci spingono all’inferno…

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