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Da Ginevra a Pechino, Natale per due nel porto senza città

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Da un Natale all’altro, si torna nella casella di partenza, tra il vuoto di una campagna elettorale permanente e assordante. Sotto l’alberello le slot machine della politica consociativa: incassa chi mette a profitto maggiore spregiudicatezza, furbizia, abilità nel far girare le carte e capacità di offrire soprattutto voti, non importa se bianchi, neri o sporchi. Incassa il Nord Est dell’effervescente governatrice Debora Serracchiani e dell’abile presidente Zeno D’agostino, fanno man bassa i porti del Sud strappati generosamente dal fallimento, si accoda il terminal di Vado nel quale i privati finora hanno scucito solo pochi centesimi, si accomodano società private con mansioni pubbliche come Ram.

Il problema per Genova, a questo punto, non è neppure più la calpestata leadership nazionale, quanto capire se grazie alla centralità operativa e strategica del terminal Vte-Psa il porto riuscirà a mantenere i traffici di oggi. Buoni per sopravvivere, non per crescere. Del resto l’immobilismo non paga e se non si investe almeno in manutenzione le banchine si sgretolano, i fanghi si accumulano sui fondali, i cantieri mai avviati verranno a costare più di un’opera realizzata. La burocrazia di Palazzo San Giorgio è da tempo il simbolo perverso di un’amministrazione a stipendio garantito che non muove foglia. Da oltre due anni è tutto fermo, la struttura blocca ogni intervento per paura di correre rischi o di incappare nelle ricorrenti verifiche contabili o giudiziarie che sembrano pianificate a tavolino. L’emergenza è la regola. Talune scelte davvero bizzarre: pare, infatti, che il ruolo di ingegnere capo, cioè della figura tecnica più importante dell’Autorità portuale, venga affidato ad un laureato in legge.

Ma c’è anche qualcosa di più impalpabile e incomprensibile nella governance dell’ente se è vero che, mentre Genova arranca tra qualche figuraccia, contemporaneamente tutti i lavori a Savona e Vado procedono spediti, si approvano varianti azzardate (come la sostituzione delle palificazioni con i cassoni), si cambiano in corsa i progetti, si dimentica casualmente che a Vado servirebbe anche una diga. Se fosse vero, come molti insinuano, che sia stata la Maersk a imporre l’accorpamento di Savona con Genova, certo avrebbe fatto un ottimo affare. E intanto la ricchezza è sempre più maldistribuita, il potere economico è sempre più concentrato nelle mani di pochi, il debito è pratica sistematica, il lavoro sui moli è incalzato dall’automazione, non esistono né ricambio generazionale né formazione adeguata. La società del male comune avanza senza un programma, senza aver chiarito quale rapporto c’è – se c’è – tra una visione di futuro e la scelta del gruppo leader, che sembrava individuato in Gianluigi Aponte e nella sua Msc.

Patto già congelato? Boicottato? Aponte ripiega su Calata Bettolo? E’ da attribuire a queste incertezze il robusto posizionamento di Msc nel porto di Voltri-Pra’? Forse non avrebbe cambiato Genova, ma certo il progetto di Aponte appariva davvero strategico, fondato sull’alleanza marittimo ferroviaria tra Msc, Mercitalia e Hupac, sostenuto da fondi internazionali e proiettato a lanciare un nuovo terminal a Sampierdarena verso il corridoio del Gottardo via Alessandria e Milano Smistamento. Genova e Milano trasformate in punti di raccolta del traffico portuale nazionale così ricondotto a sistema. Genova si sarebbe trovata per caso al centro di questo progetto ambizioso. Tra abili navigatori che non investono e non rischiano nulla, tra grilli parlanti e moralizzatori nei confronti di chi invece ha rischiato tanto e spesso perso molto, si muovono con abilità e strategie ben chiare anche i rappresentanti dello shipping cinese. Puntano a Voltri? In questo caso finirebbero per controllare Genova. Forse non accadrà niente, forse cambierà davvero tutto. Una cosa è sicura: Genova non c’è, i terminalisti locali si sono già venduti tutto, ci resta la Compagnia Unica aggrappata al salvagente. E le nuove regole le scriveranno a Pechino e Ginevra.

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