Il paradiso è qui, a due passi da Genova
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In poche ore Msc nomina cinque nuovi top manager per lanciare il brand di lusso delle sue crociere, a Palermo la controllata Grandi Navi Veloci conferma la partnership con la locale Compagnia portuale, il Rina incalza con la sua campagna acquisti e altri gruppi fronteggiano la crisi investendo, diversificando e commissionando nuove navi. A Genova, invece, evapora all’orizzonte l’obiettivo della città porto, della municipalità che pianifica globalmente il bene comune. In un crescendo di conflitti veri o artefatti che producono immobilismo e di riti empirici consumati con precisione compulsiva. Roma riesce a fare ancora peggio. Nemmeno uno straccio di bandierina per indicare che in Italia esiste e brilla un ministero che si occupa di navi, porti e logistica. Dettagli che fanno la differenza nella stagione in cui basta una portacontainer di traverso nel Canale di Suez per mandare a gambe per aria l’economia mondiale e scatenare il putiferio intorno al tema della globalizzazione e della sostenibilità della logistica. Ci vorrebbe un Balzac dei giorni nostri per raccontare questa giostra matta che gira a una velocità sempre più assurda. L’eccesso, il grottesco, lo strano ma vero, la realtà romanzesca, la sparatoria scritta o verbale. Soprattutto il vuoto di una politica non solo inadeguata ma soprattutto disinteressata a comprendere e gestire con un minimo di strategia competitiva il motore centrale della sopravvivenza economica nazionale: trasporti, relazioni commerciali e logistica.
Sostenibilità e innovazione sono i due argomenti che oggi dominano la nostra società in maniera totalizzante, in ogni ambito: dal politico, all'economico, al sociale. Chi non si adegua non è visibile, si disperde sul fronte mediatico. E così si riscrivono le priorità, si enfatizza sulla carta la visione virtuosa dei due fattori – sostenibilità e innovazione – strettamente connessi e alimentati. Non esiste provvedimento, azione o attività che non vi faccia riferimento.
Ma la sostenibilità non trova casa a Genova, dove il porto è malato di poco mercato, che invece sarebbe un vaccino contro le malattie endemiche e anche il sistema più opportuno per allentare il giogo che imbriglia tutte le parti. E magari diventare un modello. Perché sulla carta la legge che consente alla Culmv di fornire in via esclusiva manodopera qualificata alle imprese portuali resta il modello organizzativo più efficiente per il porto, gli utenti e i traffici. Ma le progressive distorsioni hanno prodotto un calo della produttività e l’aumento delle tariffe. Fino a imprigionare l’azienda portuale in assurde anomalie che spingono i protagonisti del sistema (imprese e lavoro) verso l’ignoto e la mediocrità del provincialismo. Allontanando i traguardi possibili: relazioni industriali sane, produttività ed equilibrio economico-finanziario, sviluppo socio-economico.
L’innovazione, poi, è del tutto sconosciuta a Roma, dove la politica ignora shipping e logistica e appare del tutto assente in un momento storicamente decisivo per le sorti globali, in cui le grandi nazioni marinare cercano di rimodellare i progetti delle relazioni sociali e commerciali. Anche la Francia torna a puntare con fermezza sul Ministero del Mare, definendo addirittura Parigi città-portuale. Nebbia fitta a Roma, dove si valutano i ministeri solo in base alle risorse di cui dispongono e non per le politiche che possono mettere in campo. Il Ministero del Mare sarebbe proprio un centro operativo trasversale: di indirizzo, programmazione e coordinamento, cui affidare l’intera strategia del settore. Bocciare l’iniziativa con la scusa dell’assenza di un bilancio proprio, appare strumentale. Capita spesso che le visioni politiche siano più rilevanti e condizionanti degli stanziamenti: basta pensare al potere di interdizione che in questi anni pratica il ministero dell’Ambiente nei confronti di porti, logistica e shipping. Sicuramente impedendo la nascita di un Ministero del Mare, che dovrebbe governare e coniugare con equilibrio le esigenze ambientali e quelle economiche, il ruolo del ministero dell’Ambiente è destinato ad autoalimentarsi a dismisura. Già oggi, del resto, la struttura del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture è sommersa da tali e tante pratiche burocratiche e cavilli d’ogni genere da ridurre alla marginalità o alla stravaganza le ragioni del mare e dei porti.
I professionisti della conservazione sostengono che un ministero dedicato indebolirebbe visioni e strategie unitarie per la parte infrastrutturale e logistica. Sciocchezze. Oggi non esiste una cabina di regia unica con RFI e Anas e con gli interporti. Assistiamo invece a una concorrenza sempre più evidente tra chi vorrebbe sottrarre lavoro, reddito ed economia ai porti a beneficio dell’Inland. Inoltre la complessità di rendere compatibili tutte le attività svolte in mare, non è minimamente paragonabile alla corretta esigenza di realizzare una infrastruttura che connetta i porti con i mercati. Solo chi non conosce in maniera approfondita temi e problemi marittimi o chi sottovaluta l’effetto devastante che il cambiamento climatico avrà sulle nostre coste e sui nostri porti, può oggi opporsi ad una ineludibile visione organica dell’intero settore.
Purtroppo la storica e solida cultura marittima è stata annacquata da scarsa passione, insensibilità, povertà educativa. Eppure, domani potrebbe andare peggio. Perché il Paradiso è ancora qui, a due passi da Genova!
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