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Ibridi, a gas o elettrici: i traghetti verso il traguardo “emissioni zero” / FOCUS

Genova - A Ferragosto, tra le due isole danesi di Aerø e Als, è entrato in servizio “il più grande traghetto elettrico al mondo” secondo quanto annunciato dalla società che ne ha ideato il sistema di propulsione.

ALBERTO QUARATI
3 minuti di lettura

Genova - A Ferragosto, tra le due isole danesi di Aerø e Als, è entrato in servizio “il più grande traghetto elettrico al mondo” secondo quanto annunciato dalla società che ne ha ideato il sistema di propulsione, il costruttore di batterie svizzero Leclanché. Il traghetto “Ellen” può trasportare 30 veicoli e 200 passeggeri, alimentato da un sistema da 4,3 megawattora. In Giappone, a inizio mese, i cantieri Oshima (noti costruttori di navi da carico, ad esempio per gli armatori italiani d’Amico) hanno consegnato il loro primo traghetto elettrico, capacità 50 persone e quattro auto. Negli stessi giorni, sempre in Giappone, uno dei tre maggiori armatori del Paese, la Mol, siglava una joint venture con Mitsubishi, Asahi Tanker ed Exeno per realizzare entro il 2021 la prima nave cisterna a zero emissioni del mondo, alimentata a batterie. Il mese scorso la “Roald Amundsen”, ultima nave entrata nella flotta crociere della Hurtigruten, la storica compagnia dei traghetti postali norvegesi, ha affrontato il suo primo viaggio forte di un gruppo ausiliario di batterie che le permette circa un’ora di navigazione a zero emissioni.
A maggio Grimaldi ha presentato “Cruise Roma”, il primo grande traghetto che quando è fermo in porto spegne i motori e accende le batterie al litio, punto di partenza del maxi-piano di ambientalizzazione delle navi messo in piedi dal primo armatore al mondo nel settore ro-ro.

Business in aumento
Si potrebbe andare avanti a lungo: secondo la società di certificazione Dnv-Gl, oggi le navi elettriche o ibride in operatività o in costruzione sono 356, da zero che erano 10 anni fa. Più delle 318 unità a gas naturale liquefatto in ordine o in navigazione, e per arrivare a questo risultato ci è voluto il doppio del tempo rispetto a chi ha scommesso sull’elettrico. Del resto, il settore del trasporto marittimo oggi brucia 370 milioni di tonnellate di carburante l’anno, contribuendo al 15% delle emissioni globali di ossidi di azoto e lasciando ogni anno nell’aria 20 milioni di tonnellate di ossidi di zolfo. Motivo per cui da anni l’Organizzazione marittima internazionale, il braccio blu dell’Onu, ha fissato un’agenda rigida, il cui primo passo è il divieto di carburanti con una percentuale di zolfo superiore allo 0,5%, e l’ultimo è l’arrivo, nel 2050, al dimezzamento di tutti i gas serra prodotti dalle navi, anche se il vero traguardo è l’azzeramento totale delle emissioni. Tutto questo sta mettendo in moto investimenti, sperimentazioni, la ricerca di nuove tecnologie, e in questo momento la nave elettrica rappresenta la frontiera più avanzata del percorso, almeno su una tecnologia oggi pensabile su larga scala.

La sfida col gas
A differenza del Gnl, oggi considerato il miglior combustibile di transizione verso un mondo a zero emissioni, l’energia elettrica può non essere generata da fonti fossili: a luglio per esempio Ap Moeller-Maersk, primo gruppo armatoriale del mondo, ha acquisito Kk Group, società da 1.400 dipendenti specializzata nella costruzione di generatori da fonti alternative, vento in particolare, “per accelerarne il processo di industrializzazione e guidare l’elettrificazione della società” dicono dall’azienda danese. Un’elettrificazione che tuttavia sembra riguardare – almeno per le unità alimentate interamente a batteria – più le unità destinate al corto o cortissimo raggio, confermando la teoria, diffusa tra gli operatori del settore, che lo shipping del futuro non dipenderà più da una sola fonte di energia.

Questioni di peso
Vaclav Smil, esperto del settore con grande seguito in America (uno dei suoi maggiori fan è Bill Gates), ha calcolato che per far navigare 31 giorni una nave da 18 mila teu (4.650 tonnellate di carburante bruciato, pari 54 mila gigawattora di energia) servirebbe un carico di batterie al litio da circa 100 mila tonnellate, contro le 432 mila tonnellate di capacità massima della portacontainer – e questo nell’ipotesi in cui questa viaggiasse a pieno carico. Insomma, per Smil servirebbero batterie con una densità energetica almeno 10 volte superiore a quella attualmente in commercio. Ma in 70 anni, nota l’esperto, la densità energetica delle batterie non è nemmeno quadruplicata. E come sempre quando si parla di energia, c’è la questione economica, ma soprattutto quella etica: realizzare una batteria non richiede combustibili fossili, ma certo molti metalli. Se rame e alluminio sono disponibili in grandi quantità, meno lo sono il cobalto o il litio, oggi presenti in Paesi travagliati dalle guerre o con miniere che sfruttano la manodopera minorile: il 70% del cobalto estratto nel mondo, e principalmente destinato alla Cina dove sono realizzate la maggior parte dalle batterie di telefoni, droni o automobili, proviene dalla Repubblica democratica del Congo, dove secondo un rapporto di Amnesty International il 20% delle miniere impiega bambini per estrarre il minerale.
Secondo Andy Leyland, a capo della divisione Consulenza della società di analisi Benchmark Mineral Intelligence, il ritorno dell’Europa nella produzione di batterie – mercato oggi in gran parte nelle mani di Pechino, dove alcuni giganti del settore (la Catl in primis) hanno peraltro annunciato l’apertura di stabilimenti nel Vecchio Continente – e il progressivo interesse dell’industria dell’auto verso questo settore, potrebbero aumentare gli standard di produzione della materia prima.

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