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Compensare i danni, come prevede la legge del mare / L'ANALISI

Genova - La situazione che stiamo vivendo in questi mesi non ha davvero precedenti. Giustamente, si moltiplicano gli appelli alla solidarietà, di cui tutti ne riconoscono la necessità. Ma la cosa che più colpisce di questa pandemia, è che tutti ormai siamo sulla stessa barca. Tutti, a prescindere dalla tipologia di attività o dalla localizzazione geografica

Andrea La Mattina*
2 minuti di lettura
(afp)

Genova - La situazione che stiamo vivendo in questi mesi non ha davvero precedenti. Giustamente, si moltiplicano gli appelli alla solidarietà, di cui tutti ne riconoscono la necessità. Ma la cosa che più colpisce di questa pandemia, è che tutti ormai siamo sulla stessa barca. Tutti, a prescindere dalla tipologia di attività o dalla localizzazione geografica. Tutti ci troviamo in una situazione di pericolo incombente. La risposta più forte della nostra politica è quella del lockdown, sia in forma generale – come quella che abbiamo vissuto a marzo – sia in forma parziale, come quella che ci stiamo accingendo ad affrontare oggi.

Rispetto a marzo, abbiamo compreso che nel lockdown ci sono soggetti che continuano a produrre, e diciamo così si salvano, e altri soggetti che invece, per salvare gli altri, sopportano integralmente un danno. Questa situazione fa venire in mente uno dei più antichi istituti del Diritto della Navigazione, quello cosiddetto della “avaria comune”, che consiste - nella sua più emblematica espressione - nell’atto, compiuto dal comandante, di buttare a mare una parte del carico, per salvare nel suo complesso la spedizione assegnata alla nave di cui è al comando. Bene, l’avaria comune fa sì che alla fine del viaggio si faccia il conto dei carichi salvati e di quelli danneggiati nel loro insieme. Per evitare che a patire il danno sia solo il proprietario della merce perduta, i commissari di avaria finalizzano un adjustment, ossia un calcolo: per esempio, se il carico salvato è 100, mentre quello danneggiato è 10, allora in proporzione anche il soggetto che ha salvato il carico deve pagare una quota del danno.

In sintesi, tutti quelli che hanno avuto la salvezza per effetto del sacrificio di altri, devono pagare una parte del danno che gli altri hanno patito. Oggi, la copertura dei danni prodotti dai lockdown è demandata interamente allo Stato, all’Europa. A una “divinità superiore”, in un certo senso. Ma gli episodi di Napoli rendono bene l’urgenza della situazione: da una parte la necessità di fermare delle attività, dall’altra l’impossibilità di chi rappresenta quelle attività di potersi fermare. Si tratta di uno scenario di potenziale conflitto sociale estremamente preoccupante.

E’ proprio la situazione della nave: per salvare il carico, bisogna gettare a mare qualcosa, ma bisogna fare in modo che il danno sia sostenuto da tutti. L’esempio più semplice è forse quello del settore alimentare: la grande distribuzione non ha avuto crisi, in alcuni casi anzi, è andata quasi meglio che in anni passati. Ma l’esperienza delle chiusure ha danneggiato notevolmente i bar e i ristoranti, per citare solo la punta dell’iceberg. Nel medesimo settore c’è quindi chi ha preservato il carico e chi lo ha perso, per la salvezza di tutti. Serve dunque l’adjuster, il commissario liquidatore in grado di stabilire la compensazione dell’avaria.

Serve la necessità di far emergere questo principio solidaristico, tenendo presente la situazione. Serve, in sostanza, che i decisori politici ci mettano la faccia. Amici che vivono in Sud America - dove certamente vigono regimi con welfare meno generosi del nostro - mi raccontano che si stanno cominciando a vedere situazioni di solidarietà “compensativa” come strumento di convivenza civile, tenuto conto che in molti di quei Paesi il lockdown non è mai finito. Non pretendo di avere la bacchetta magica, ma mi limito a sottolineare come il Diritto della Navigazione è sempre stato una materia pionieristica, in grado di anticipare le situazioni. Basta adattarle e capirle nel loro significato più remoto. Dunque, chi dovrebbe essere l’adjuster, il liquidatore d’avaria? Certamente un soggetto pubblico.

Come ha ben osservato Giulio Tremonti, oggi lo Stato o l'Unione europea sostengono chi, diciamo così, “sta perdendo il carico”, con tanti strumenti, prevalentemente di debito. Ma il debito crea un problema per le future generazioni. Oggi noi cerchiamo la salvezza qui e ora, ma stiamo ipotecando il futuro di molti giovani, tema su cui bisognerebbe cominciare a riflettere più seriamente. Assumersi il ruolo di soggetto in grado di gestire - almeno in parte - una “compensazione” nel senso sopra accennato sarebbe una risposta senza precedenti a una situazione analogamente senza precedenti.

*Docente di Diritto della Navigazione all’Università di Pisa

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