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«Un fondo pubblico per sostenere gli armatori» / INTERVISTA

Roma - Un fondo di natura pubblica a sostegno degli armatori,e non solo di quelli in difficoltà. Il progetto a cui sta lavorando da mesi Confitarma va avanti «a piccoli ma concreti passi», raccontano in ambienti vicini al governo. E del resto, a parere di Cesare d’Amico, alternative non ce ne sono

Francesco Ferrari
3 minuti di lettura
primopiano 

Roma - Un fondo di natura pubblica a sostegno degli armatori, e non solo di quelli in difficoltà. Il progetto a cui sta lavorando da mesi Confitarma va avanti «a piccoli ma concreti passi», raccontano in ambienti vicini al governo. Lo dimostra il summit al quale giovedì scorso, al termine dell’assemblea pubblica in Viale dell’Astronomia, hanno partecipato anche rappresentanti di Cassa Depositi e Prestiti. Per Cesare d’Amico, ceo dell’omonimo gruppo armatoriale e presidente dello Standard Club, a capo di una tra le più importanti flotte a livello internazionale di navi portarinfuse e navi cisterna, alternative non ne esistono: «L’Italia deve decidere se le navi sono un asset da difendere o no. Non esistono vie di mezzo».

Perché lo Stato dovrebbe istituire un fondo a sostegno del vostro settore?
«Per lo stesso motivo che ha spinto il governo a muoversi - e me lo faccia dire: giustamente - a difesa dei quattrocento dipendenti del gruppo Whirlpool, a Napoli. Se il Paese difende quello stabilimento, è auspicabile che faccia lo stesso per il futuro dell’armamento e delle migliaia di persone che ci lavorano. E poi c’è un fattore politico, se vogliamo chiamarlo così: forse non tutti sanno che prima di vendere una nave dobbiamo ottenere il permesso del ministero, non tanto per la verifica di eventuali situazioni debitorie quanto perché la nave è considerata a ragione un bene strategico della nazione. Oltre al fatto, non trascurabile, che i noli che incassiamo sono tutti in valuta».

Il rapporto con la finanza è così difficile?
«Se in questi decenni quasi tutti i Paesi hanno tutelato, in molti casi aiutato a crescere la propria flotta mercantile un motivo dovrà pur esserci… Per rispondere alla domanda: guardiamo cosa è accaduto in Italia in questi anni. Ad alcuni gruppi sono state letteralmente sfilate navi per il solo rifiuto di volersi confrontare con le problematiche del mercato. La verità è che gli istituti finanziari non potranno mai avere il coraggio, la conoscenza e la passione dell’armatore. Con gli algoritmi forse si riesce a creare ricchezza apparente: noi cerchiamo di creare ricchezza vera. E quando sbagliamo facciamo comunque meno danni di chi interpreta questo mestiere come un qualcosa dominato dalla finanza. D’altronde, dove si esprime oggi l’armamento? Nell’America della finanza o nella Grecia dei piccoli, medi e grandi armatori? Per carità, fra di noi c’è chi ha sbagliato, tutti noi abbiamo commesso almeno un grosso errore, ma poi bisogna avere l’umiltà e la prudenza di saper aspettare. Questo, purtroppo, chi entra nello shipping con finalità speculative non è in grado di farlo. Non è nella sua natura».

Le banche tradizionali non bastano più?
«No. Molte banche si sono letteralmente ritirate dal settore. La disponibilità di denaro è molto inferiore rispetto al passato, ed è in sostanza circoscritta a quelle aziende che hanno dimensioni e programmi tali da rendere ultra-garantito il prestito. Per questo credo sia giusto un intervento pubblico. L’Italia deve decidere cosa fare della propria economia ».

A proposito: che cosa pensa del caso siderurgia?
«Penso che i Riva rilevarono un’azienda che perdeva miliardi e in tre anni la portarono all’utile, assumendo personale e realizzando a Taranto l’impianto più avanzato in Europa. In questi ultimi anni si è parlato molto di ambiente e troppo poco, secondo me, di sicurezza. Una cosa è certa: la rinuncia all’acciaio avrebbe effetti inimmaginabili sull’economia del Paese. Ma quando la politica si sostituisce all’impresa a fini populistici, i risultati non possono che essere questi».

Da armatore, qual è il suo giudizio sulla vicenda Fincantieri- Stx?
«Trovo intollerabile che qualcuno stia mettendo paletti così importanti a un grande progetto industriale italiano. Da Bruxelles mi sarei aspettato un plauso all’iniziativa, altro che una richiesta di approfondimenti. Se l’Europa vuole continuare a competere, a essere leader al mondo in un settore ricco e ad alto valore aggiunto come le crociere, il consolidamento tra cantieri è inevitabile. I veri concorrenti stanno in Asia, questo i funzionari dell’Ue dovrebbero saperlo. Mi chiedo solo una cosa: che atteggiamento avrebbero avuto, se il progetto fosse nato in Germania e non in Italia? ».

Parliamo di trasporto marittimo: che anno è stato, e cosa dobbiamo aspettarci dal 2020?
«Nel 2019 abbiamo registrato una lieve ma incoraggiante crescita. Per il 2020 stiamo aspettando i contraccolpi della normativa Imo e gli sviluppi della battaglia dei dazi. Al momento abbiamo due certezze. Per prima cosa, chi ha installato gli scrubber si è sentito dire che probabilmente non è stata la cosa giusta, e ciò ha aggiunto incertezze a un quadro già abbastanza opaco. Sotto il profilo tecnico, abbiamo assistito a un fatto inequivocabile: si diceva che l’installazione avrebbe comportato un “fermo nave” di dieci-quindici giorni, mentre nei fatti l’attesa è arrivata anche a cinquanta giorni. Insomma: c’è stata una diffusa sottovalutazione del problema. Nei giorni scorsi parlavo con un collega nordeuropeo: ha installato gli scrubber sei anni fa, solo dopo tre-quattro anni ha raggiunto un grado di affidabilità buono».

Vi aspettate di più dal carico secco o da quello liquido?
«Ci sono più aspettative sulla parte cisterniera. Nel dry cargo abbiamo maggiori incertezze, e questa è la vera novità per noi armatori. I dazi, i rapporti tra Cina e Russia, il rallentamento cinese hanno un impatto forte sul trasporto di carico secco. Ma sappiamo che in passato sono scattati stimoli da parte del governo cinese che hanno aiutato il settore. C’è poi un’altra grossa differenza fra petroliere e carico secco: mentre sulle prime se vuoi fare un noleggio a tre anni ci riesci, con risultati migliori rispetto al mercato spot, sul carico secco non riesci a coprirti. Non esiste un noleggiatore che prende la nave a tre anni: se la prende, lo fa “a indice”, con un contratto legato ai derivati. Di fatto, siamo in presenza di una manipolazione del mercato, perché queste tecniche equivalgono a offrire più stiva. La buona notizia è che la corsa a nuovi ordini si è definitamente fermata».

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