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Conti da record e tasse quasi a zero: i mega-armatori finiscono nel mirino

Il boom dei noli marittimi e i conseguenti extraprofitti, specialmente nel settore container dove il numero delle compagnie di navigazione è più concentrato rispetto agli altri, sta creando nervosismi da una parte come dall’altra dell’Oceano Atlantico

Alberto Quarati
2 minuti di lettura

Genova - Il boom dei noli marittimi e i conseguenti extraprofitti, specialmente nel settore container dove il numero delle compagnie di navigazione è più concentrato rispetto agli altri, sta creando nervosismi da una parte come dall’altra dell’Oceano Atlantico. In Europa infatti sta crescendo il malumore tra i gruppi della logistica, ma in particolare fra i terminalisti portuali, per i tentennamenti del legislatore Ue nel definire il carico fiscale per i grandi carrier internazionali. Nessuna contestazione alla Tonnage Tax, il regime fiscale di favore che permette all’armatore di pagare le tasse in base a un’aliquota sul tonnellaggio complessivo della sua flotta (e non sulle proprie entrate): le compagnie europee infatti competono su uno scenario globale, con una concorrenza extra-Ue spesso sostenuta da situazioni di dumping.

Nel mirino però ci sarebbe l’estensione dei benefici della Tonnage Tax alle attività ancillari, non per il fatto in sé, che fa parte del regime previsto dalle norme nazionali, ma per il fatto che non esiste ancora un’esatta definizione di cosa sia ancillare o meno, con il risultato che l’interpretazione risulta differente da Stato a Stato: e un conto è se ancillare risulta una biglietteria per i traghetti, un conto un terminal portuale. Che qualche azione bolla in pentola lo dimostra il fatto che in ambienti shipping sia tornato a circolare un documento che ricorda uno studio dell’International Transport Forum dell’Ocse, che dopo aver analizzato i bilanci di 157 compagnie di navigazione in tutto il mondo tra il 2005 e il 2019, ha messo in evidenza come la pressione fiscale di una società terminalistica controllata da una compagnia di navigazione è del 14%, contro il 21% di un terminalista non integrato.

Questo perché per effetto dei regimi di Tonnage Tax, le varie attività ancillari, a seconda di come sono intese, vengono in genere tassate in base a un’aliquota determinata dal carico fiscale pagato dall’armatore in regime agevolato: ed è questo che contribuisce ad abbassare la pressione fiscale sulle attività terminalistiche, parte del fatturato aggregato della compagnia di navigazione. Nello studio, la pressione fiscale media sulle singole compagnie in regime di Tonnage Tax era calcolata nel 7%, ma secondo una recente analisi della società di consulenza Sea Intelligence, nel 2021 gruppi come Ap Moeller-Maersk, Cma Cgm o Hapag Lloyd hanno beneficiato di una pressione fiscale tra l’1% e il 4%, o anche meno, se è vero che su un utile di 17,6 miliardi di dollari la sola Maersk ha pagato 138 milioni di Tonnage Tax.

Del resto il fatturato è esploso grazie ai noli, mentre la flotta non è cresciuta: nessuno aveva previsto la pandemia, i lockdown, la ripartenza e la crisi degli approvvigionamenti, con la conseguente mancanza di navi e l’aumento esponenziale della domanda di trasporto. L’Ocse, nel quadro del programma Beps contro l’elusione fiscale globale, lo scorso marzo ha pubblicato una nota tecnica, che deve essere recepita dal coordinamento fiscale dell’Unione europea, in base alla quale nell’ambito della tassa al 15% sulle multinazionali concordata lo scorso anno dal G20, siano sì escluse le attività di shipping dalla sua influenza, ma non però quelle operazioni che allo shipping possono essere legate, e che si trovano a terra.

LA MOSSA DEGLI STATI UNITI
Ma mentre a Bruxelles tutto per ora si muove tra le stanze felpate delle lobby di categoria, negli Stati Uniti è stato il presidente Joe Biden ad aver annunciato, già nel discorso sullo stato dell’Unione, "una repressione delle aziende che sovraccaricano le imprese e i consumatori americani", riferendosi a «circa una mezza dozzina o meno di compagnie marittime di proprietà straniera che hanno aumentato i prezzi fino al 1.000% e realizzato profitti record". Morale, la Federal Maritime Commission, che è l’ente regolatore in Usa del traffico marittimo internazionale, ha emesso un provvedimento che chiede alle tre grandi alleanze commerciali globali tra armatori (2M, Ocean e The Alliance) di dare informazioni più accurate sui prezzi dei noli, fornendo dati uniformi che possano essere usati dalla stessa Fmc per valutare la correttezza del comportamento delle compagnie e il rispetto della competizione sul mercato.

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