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L’allarme degli agenti: "Sulle rotte attendiamo l’impatto delle guerre"

Le navi che arrivano nei porti italiani ed europei affrontano acque sempre più pericolose, le rotte si allungano e aumenta la complessità del viaggio. E questo è un fattore che dovrà essere tenuto in considerazione nelle politiche di investimento del prossimo governo

A. Qua.
2 minuti di lettura

Genova - Le navi che arrivano nei porti italiani ed europei affrontano acque sempre più pericolose, le rotte si allungano e aumenta la complessità del viaggio. E questo è un fattore che dovrà essere tenuto in considerazione nelle politiche di investimento del prossimo governo, specialmente nelle infrastrutture che devono collegare i nostri porti alla rete infrastrutturale europea. A lanciare l’allarme su guerre e conflitti che incombono sull’interscambio via mare è Federagenti. I nodi strategici del commercio mondiale, avverte Alessandro Santi, presidente degli agenti marittimi italiani, sono già sotto tiro: "Odessa, Chornomorsk, Bab-El-Mandeb, Ashdod, Stretto di Taiwan, Kherson, Bosforo e Dardanelli, Suez... per chi come noi opera nel campo dei traffici marittimi questi nomi sono altrettante punte dell’iceberg di conflitti e di guerre, sempre meno locali e sempre più globali. Dal Mediterraneo all’Africa Occidentale e Orientale, dal Mar Nero al Mare della Cina, dal Centro America al Sud Est asiatico, alla Corea".

Gli effetti si misurano nella scarsità "dei prodotti fondamentali per la sopravvivenza delle persone e delle aziende come pure nella spinta inflattiva" aggiunge Santi che cita la Cargo Watchlist della International Underwriting Association (Iua, che rappresenta le società assicuratrici londinesi che operano al di fuori del perimetro dei Lloyd’s): "All’inizio del 2019 - dice Santi - presentava 49 aree di rischio di cui 15 nella fascia da alta ad estrema mentre oggi le aree a rischio sono 61 (+25%) e quelle nella fascia alta di conflitti in campo aperto sono balzate a 21 (+40%)".È pur vero che la merce trova sempre una strada: Augusto Cosulich, amministratore delegato del gruppo genovese dello shipping, ha ancora una nave con le bramme della Metinvest ferma nel porto di Odessa. Sembrava questione di giorni, ma la situazione è rimasta bloccata dal conflitto, anche se la progressiva partenza delle navi cariche di grano fa ben sperare: "Nel frattempo ci siamo riorganizzati, e le nostre navi raggiungono Monfalcone e poi Porto Nogaro, anche grazie al sistema di chiatte che abbiamo avviato con la nuova società C&C Trasnports insieme alla famiglia Cattaruzza, per rifornire i laminatoi italiani partendo dall’India, dal Brasile, dalla Cina - dice Cosulich -. Personalmente, devo dire che confiderei anche in un allentamento delle sanzioni sull’Iran, un Paese che potrebbe esportare ottimi prodotti in questo settore".

Ma complessivamente, le tensioni sui traffici si faranno presto sentire, dice Santi: "E si tradurranno in problemi seri per i trasporti marittimi ma anche nella minaccia di fratture nelle catene di approvvigionamento e in maniera più ampia, nel minare il concetto di democrazie liberali". Non si parla solo di aree lontane come Taiwan o lo Yemen: "Anche lo Stretto di Sicilia come pure il Mediterraneo sud orientale (Libia, Cipro, Turchia) - dice il presidente di Federagenti - sono e diventeranno sempre più aree di tensione che provocheranno strozzature logistiche oltre ad aumentare in parallelo un incremento esponenziale dei flussi migratori prevedibili dal nord Africa verso la nostra penisola, creando le premesse per situazioni fuori controllo. Ci rivolgiamo in anticipo - conclude Santi - a chi governerà questo Paese: i nostri porti e i nostri spazi marittimi devono diventare snodi efficienti e non colli di bottiglia, devono essere innervati nelle reti Ten-T e nelle catene di valore che si genereranno a fronte di scelte di politica internazionale, devono rispondere alle esigenze di un piano strategico nazionale su energia, materie prime essenziali e transizione ecologica".

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