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Il burrascoso rapporto del manager con Genova

“Bono firmò un piano che prevedeva lo stop, poi ci indicò la via d’uscita industriale” | INTERVISTA

Mario Margini, politico di lungo corso in Liguria, all’epoca della sventata chiusura del cantiere di Sestri era il potentissimo assessore alle Politiche del lavoro e lavori pubblici della giunta Vincenzi

di A. Qua.
2 minuti di lettura

Mario Margini è stato esponente di spicco del centro-sinistra in Liguria (pambianchi)

 

Genova - Mario Margini, politico di lungo corso in Liguria, all’epoca della sventata chiusura del cantiere di Sestri era il potentissimo assessore alle Politiche del lavoro e lavori pubblici della giunta Vincenzi.

Come riuscì Genova a far cambiare idea a Bono?
”Fincantieri proponeva per Sestri, al posto dello stabilimento, un’area di sviluppo industriale, magari aiutandoci e mantenendo sul luogo qualcosa, per esempio una fabbrica di turbine come c’è a Riva Trigoso. Ma il nostro problema come Comune era appoggiare una protesta che avesse uno sbocco effettivo: non potevamo rischiare la de-industrializzazione della città. In un incontro riservatissimo, ma di quelli veramente riservati, come si facevano una volta, io gli spiegai le mie ragioni, lui le sue, e poi mi diede la sua visione da uomo di industria: l’unico modo per tenere in vita Sestri, mi disse, è allungare il bacino. Poi, tornando a riferirsi al piano industriale, astutamente aggiunse: “E così ti ho spiegato la posizione ufficiale del governo e dell’azienda”. Capito? Aveva bisogno di una sponda per la sua proposta da industriale. E così facemmo nostro il tema dell’allungamento del bacino, quello oggi chiamiamo Ribaltamento a mare che stanno costruendo adesso”.

Ma com’era davvero il rapporto di Bono con Genova?
“Vede, lui ha sempre attribuito al peso della componente genovese della Finmeccanica il fatto di non essere stato confermato, nel 2002, alla guida di quel gruppo, quando il governo gli preferì Pier Francesco Guarguaglini. E Fincantieri a Genova è sempre rimasta una realtà isolata. Il ghiaccio si ruppe cinque anni dopo grazie a Montolivo, che organizzò un premio per poterlo intestare a Bono. E questo lo avvicinò molto alla città, e a Sestri”.

Poi però arrivò la doccia fredda della chiusura.
“C’erano motivi di ordine industriale, ma in quel colloquio di allora, in fondo ci diede anche il modo per costruire una sponda e non portarlo alla chiusura. Tra l’altro in seguito, tutte le volte che mi incontrava, mi ricordava che gli dovevo un altro premio, il Genovino d’oro, quello che viene conferito ogni anno dal Comune di Genova. Venne premiato nel 2016, con la giunta Doria. Era felice come un bambino”.

I rapporti con Genova quindi migliorarono?
“Certo, anche se Bono visse sempre il non avverarsi dell’ipotizzata chiusura di Sestri come una sconfitta personale. Era un uomo estremamente pratico, e se non la pensavi come lui, avevi torto. Questo lo faceva soffrire: socialista, proveniva dalla stessa estrazione di Giuliano Amato, aveva grande ammirazione degli operai, di chi svolgeva il lavoro tecnico. E visse male il fatto che quegli stessi operai non avessero capito le sue ragioni”.

Ci furono altri momenti in cui soffrì di questo rapporto con i lavoratori?
“Quando la Fincantieri firmò il rinnovo del contratto solo con Fim e Uilm e non con la Fiom. Tra l’azienda e il sindacato della Cgil ci fu uno scontro acutissimo. Ma quando si cominciò a ritrovare un minimo di unità sindacale, lui ne fu contento”.

Contrattare con lui non deve essere stato facile.
“Sì, ma se alle sue solide argomentazioni si opponevano altre solide argomentazioni, lui certamente le prendeva in considerazione”. 

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