L’automazione fa litigare i portuali Usa e le compagnie
Guerra a colpi di analisi tra le Unions e i rappresentanti di terminal e armatori
elisa gosti
Il porto di Los Angeles
(afp)Un’immagine dello scorso anno ha colpito l’intero settore marittimo perché ha simboleggiato il malfunzionamento mondiale della filiera distributiva: al largo della costa di Los Angeles dozzine di gigantesche navi container, perlopiù provenienti dall’Asia, stavano attendendo di far ingresso nei già congestionati porti di Los Angeles e Long Beach per scaricare decine di migliaia di cont
Oltre il 30% di tutte le importazioni marittime degli Stati Uniti passa attraverso questi due hub marittimi che insieme rappresentano il più grande complesso portuale a livello nazionale. Accogliere il cargo scaricato dalle navi e gestirlo dalla nave alla banchina e viceversa è il compito dei lavoratori portuali che operano sulle banchine e che fanno capo alla International Longhore and Warehouse Union (Ilwu). Il sindacato rappresenta oltre 22mila “longshoremen” in 29 porti e terminal su tutta la West Coast; circa 13mila sono impiegati presso 12 porti nella baia di San Pedro, nella California del Sud.
Dai primi giorni di maggio la Ilwu è bloccata per una serrata contrattazione con la Pacific Maritime Association (Pma), che rappresenta 70 compagnie di navigazione, operatori terminalisti e portuali. L’attuale contratto, in vigore dal 2015, è scaduto lo scorso 1° luglio. Mentre i confronti continuano a svolgersi, entrambe le parti hanno cercato di allentare la paura di un potenziale blocco o di una possibile diminuzione del lavoro, aspetto che porterebbe ad un ulteriore inasprimento dei blocchi esistenti.
A metà giugno le parti avevano dichiarato congiuntamente di non avere in previsione scioperi e serrate. Come in tutte le negoziazioni sindacali il tema dei salari è tra le questioni principali, nonostante i membri dell’Ilwu possano definirsi i “meglio-pagati” tra tutti i lavoratori delle varie organizzazioni sindacali presenti nel paese, con una media di 195mila dollari all’anno maggiorati con benefit.
Nel contenzioso anche la questione relativa all’automazione del lavoro, soprattutto per quanto concerne la gestione dei container, un trend emergente presso tutti i porti e i terminal mondiali.
La Pacific Maritime Association vorrebbe infatti espandere l’utilizzo delle gru controllate da remoto che sollevano i container dalle navi trasferendoli da e verso le pile in banchina e i trattori di piazzale che trasportano i box all’interno del terminal, oltre che su e giù dai rimorchi. Se prima l’atteggiamento delle organizzazioni sindacali era quello di una condivisione di questa trasformazione tecnologica dell’infrastruttura, adesso le stesse pongono qualche dubbio in merito. Da parte sua l’associazione ha messo a punto uno studio ad hoc dove viene spiegato come l’aumento del livello di automazione delle operazioni portuali può consentire ai maggiori porti della West Coast di restare competitivi, facilitando sia la crescita di movimentazione del cargo sia l’aumento dei posti di lavoro e riducendo le emissioni di gas serra per far fronte agli stringenti standard ambientali locali.
D’altro canto, un report realizzato dall’Economic Roundtable e sottoscritto dalla Coast Longshore Division dell’Ilwu, redatto lo scorso 30 giugno, mette in discussione molti dei punti presentati dallo studio di Pma, affermando in particolare che l’automazione portuale comporterebbe la riduzione di posti di lavoro e portando esempi a sostegno di questa tesi. La vera sfida, nell’ambito delle negoziazioni attualmente in corso, sarà individuare un punto di incontro tra queste due visioni “distanti”: un accordo che possa delineare un percorso comune e condiviso di progresso e sviluppo per l’intero settore, salvaguardando la crescita economica e, allo stesso tempo, assicurando il mantenimento dei posti di lavoro.
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