«Il camallo 4.0?Sarà informatizzato e internazionale» / INTERVISTA
Genova - Ne è convinto George Vaggelas, docente presso l’università dell’Egeo e partner di P&S Advisory, società di consulenza per alcuni big dei terminal portuali, come Cosco e Dp World.
ALBERTO QUARATI
Genova - Nel porto 4.0, quello che corre verso l’automazione di quante più attività possibili, il lavoro in banchina non è destinato a estinguersi, quanto piuttosto a evolversi. Un percorso che tuttavia non può passare solo attraverso la trasformazione dei processi, quanto piuttosto dalla formazione dei lavoratori. Ne è convinto George Vaggelas, docente presso l’università dell’Egeo e partner di P&S Advisory, società di consulenza per alcuni big dei terminal portuali, come Cosco e Dp World.
Che abilità dovrà a vere il portuale del futuro?
«Con l’automazione, saranno richieste conoscenze informatiche, per esempio la dimestichezza con software portuali o sistemi cloud. Questo non significa che le competenze di banchina spariranno. Diminuirà la manodopera non specializzata, aumenteranno progettisti di sistemi, ingegneri informatici, analisti di business. In sostanza si passerà da un tipo di personale abituato a fare una singola cosa a un altro con molteplici abilità. Questo processo nei fatti ci offre la possibilità di uniformare il percorso formativo».
Come ci si arriva?
«Prima di tutto, è necessario guardare al disegno nel suo insieme. Bisogna individuare una griglia di professionalità, poi certificarla: sulla base di questo si possono sviluppare moduli formativi comuni. Da lì si deve partire per rendere omogenee le organizzazioni del lavoro. Un gruista è un gruista, indipendentemente dal porto dove lavora. Si possono creare più programmi certificati di training, attraverso i quali una persona può via via assumere diverse specializzazioni. Il porto dovrebbe infine essere responsabile a formare il lavoratore sulle specifiche dello scalo. Insomma, un po’ come la patente dell’auto. E come questa, dovrebbe valere in tutta l’Europa».
Lei dimentica chi oggi in porto già ci lavora.
«Al contrario. Chi oggi lavora nei porto può ottenere queste certificazioni attraverso corsi brevi, o con un attestato di esperienza».
Patente europea: per arrivarci bisognerebbe mettere da parte differenze linguistiche o di contratto...
«Le peculiarità da un Paese dell’Unione europea a un altro sono evidenti. Ma è anche vero che l’Europa si basa sulla libera circolazione di merci e persone. Per effetto della recessione, hanno lasciato la Grecia mezzo milione di persone in 10 anni. Ma grazie al riconoscimento delle loro lauree e diplomi, hanno superato le barriere che lei diceva. Il percorso è già segnato, non c’è niente da inventare: abbiamo solo necessità di fornire ai lavoratori dei porti una certificazione che possa essere accettata su tutte le banchine del Continente».
Di automazione se ne parla sempre e solo nel settore dei container. Non c’è il rischio di finire con i porti divisi in terminal di serie A e di serie B?
«Certo, i terminal container sono la frontiera avanzata dell’automazione. Ma tenga conto che alla lunga questi processi riguarderanno anche le altre tipologie di traffico». Qual è secondo lei il porto in Europa meglio organizzato nel lavoro portuale? «Domanda senza risposta. Ogni porto è unico, e ogni modello di governance si adatta a quel singolo porto. La soluzione migliore purtroppo non c’è».
I commenti dei lettori