Il faro degli Stati Uniti sul porto di Genova / IL RETROSCENA
Genova - Ufficialmente la parola Cina non è stata pronunciata. Nemmeno quando Il Secolo XIX-the MediTelegraph ha provato a incalzarlo all’uscita da Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità portuale di Genova, l’ambasciatore Usa, Lewis Eisenberg, si è lasciato andare
Annamaria Coluccia e Simone Gallotti
Genova - Ufficialmente la parola Cina non è stata pronunciata. Nemmeno quando Il Secolo XIX-the MediTelegraph ha provato ad incalzarlo all’uscita da Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità portuale di Genova, l’ambasciatore Usa, Lewis Eisenberg, si è lasciato andare: «Parlo solo di felicità, di quella che mi provoca la vista di questa bella città».
Eppure lo sbarco nel capoluogo ligure del fedelissimo del presidente Donald Trump ha avuto anche un focus sulla Via della Seta. Non è passato inosservato l’interesse per il principale scalo italiano, soprattutto perché qui Pechino ha firmato un accordo che prevede la costituzione di una società con un ente pubblico italiano. Questo tema sarebbe stato sfiorato dall’ambasciatore solo con parole felpate, senza andare oltre le note posizioni di prudenza degli Usa nei confronti della Silk Way. Nemmeno quando lo stesso sindaco Marco Bucci, primo a incontrare ieri Eisenberg in città, ha accennato agli accordi con la Cina che riguardano Genova: «La conversazione ha avuto toni molto informali e amichevoli» hanno fatto sapere da Palazzo Tursi.
La prudenza è però svanita su Twitter: l’ambasciata sul proprio profilo ufficiale ha pubblicato le foto dell’incontro con il sindaco e con il presidente del porto, inframezzandole però con altri due post di attacco all’operazione cinese. Il primo avverte che «l’iniziativa comporta dei rischi e dei costi». Il secondo invece rimbalza le parole della portavoce di Mike Pompeo, il segretario di Stato americano, e parla di rischio della trappola del debito per i Paesi che aderiscono alla Via della Seta.
Il pensiero americano è noto, è in atto una guerra commerciale tra Washington e Pechino e sui social network l’offensiva finisce in mezzo alle foto di rito della giornata genovese.
IL PORTO
Eisenberg nella sua lunga carriera, ha anche ricoperto il ruolo di presidente dell’Authority portuale di New York. Per questo è rimasto più di un’ora nelle stanze di Palazzo San Giorgio, accompagnato dal presidente Paolo Signorini (che conosce bene la cultura americana per aver studiato e lavorato negli Usa) e dal segretario generale Marco Sanguineri. La diplomazia di Eisenberg non ha previsto bacchettate per l’accordo con Pechino, anzi. L’ambasciatore avrebbe assicurato di essere supportive, cioè collaborativo sul fronte del sostegno alle imprese che vogliono investire negli Stati Uniti e per quelle americane che intendono farlo in Italia. E si è mostrato molto interessato all’operatività dello scalo, tanto che nel pranzo riservato allo Yacht Club genovese, al tavolo con Eisenberg erano seduti i vertici dell’Authority con il principale terminalista di Genova. A mangiare le trofie al pesto, c’era anche Gilberto Danesi e l’ambasciatore è stato attratto dai volumi di container, ma anche dal golf, passione che condivide con il top manager portuale.
TRA MORANDI E PAGANINI
In mattinata il faccia a faccia con Bucci nell’ufficio di rappresentanza di Palazzo Tursi era durato circa 40 minuti, con una conversazione rigorosamente in inglese anche se Eisenberg ha dimestichezza con l’ italiano. Il sindaco ha illustrato i progetti e gli interventi più importanti, a cominciare dalla demolizione e ricostruzione del ponte Morandi, passando per l’operazione Erzelli e per i Parchi di Nervi. L’ambasciatore si è detto affascinato da Genova, si è complimentato per la reazione della città alla tragedia del crollo e si è mostrato molto interessato a Niccolò Paganini, chiedendo una foto ricordo accanto al famoso Cannone custodito in una sala di Tursi.
I commenti dei lettori