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Il braccio di ferro con Bruxelles

Il Pnrr e il mirino dell’Ue sulle Autorità di sistema portuale

Tra le riforme su cui pende il giudizio della Commissione europea e che mettono tra parentesi la prossima rata del Piano nazionale di Ripresa e resilienza ci sono anche i porti. Il regolamento sulle concessioni non è piaciuto a Bruxelles

di Alberto Quarati
2 minuti di lettura

Il porto di Genova (balostro - freaklance)

 

Genova – Tra le riforme su cui pende il giudizio della Commissione europea e che mettono tra parentesi la prossima rata del Piano nazionale di Ripresa e resilienza ci sono anche i porti. Il regolamento sulle concessioni - uscito in Gazzetta ufficiale lo scorso 28 dicembre, ma elaborato ancora dal precedente governo sotto l’egida dell’allora ministero per la Mobilità sostenibile, oggi tornato dei Trasporti - non è piaciuto a Bruxelles perché nei confronti dei concessionari non fissa una durata limite, permette proroghe e soprattutto non coinvolge, nell’affidamento delle concessioni, un’autorità terza.

Aspetti, spiega chi conosce il dossier, strettamente legati alla visione che l’Europa ha delle Autorità di sistema portuale, gli enti che governano i porti. Per Bruxelles, le Authority devono essere enti anche pubblici, ma di natura giuridica privata.

Per l’Italia - i cui vari governi però, al di là delle dichiarazioni, hanno sempre lasciato sguarnite le Autorità portuali nel confronto con l’Europa - si tratta invece di enti di diritto pubblico. Il 4 dicembre 2020, una Decisione della Commissione europea ha imposto all’Italia di modificare il regime fiscale applicabile alle Authority: secondo la Commissione, il loro mancato assoggettamento all’imposta sul reddito delle società (Ires) rappresenterebbe un aiuto di Stato incompatibile con le norme vigenti.

A questa visione, le Authority hanno fatto ricorso al Tribunale dell’Ue (il primo grado della giustizia europea): come fa un ente pubblico a pagare se stesso, e qual è l’attività di impresa che l’ente svolgerebbe? Nell’estate del 2021 è arrivato il controricorso della stessa Commissione, e ora la pratica, con i dovuti tempi, è all’esame dei giudici.

Ma per l’Europa non è solo una questione di imposte: se la natura delle Authority è privata, allora è chiaro che queste non possono nemmeno organizzare dei bandi per dare in concessione le parti del demanio che amministrano.

Ecco perché Bruxelles chiede che a fare le gare sia un ente terzo, elemento che nel nuovo regolamento delle concessioni manca. La Commissione non indica chi si debba occupare di fare queste gare: non dice se deve essere il ministero, un ente centrale (cioè una super-Authority che coordina le altre sparse lungo la Penisola, come la Puertos del Estado spagnola), o altre Autorità terze come quella dei Trasporti. La trasformazione in società per azioni delle Autorità portuali potrebbe parzialmente risolvere il nodo con Bruxelles: il governo sta studiando una riforma portuale e guarda con favore questa ipotesi, ma il percorso indicato dal viceministro Edoardo Rixi prevede tempi più lunghi, un intervento organico e in armonia con la riforma delle Autonomie. Secondo gli esperti, un intervento una tantum, al di là della reale fattibilità, terremoterebbe il sistema delle banchine italiane, e ai fini pratici delle gare sarebbe pure inutile, visto che i buoi sono scappati e da almeno 10 anni le principali concessioni portuali in Italia sono state assegnate o rinnovate. 

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