I porti e il Pnrr: adesso serve una vera riforma di settore
L’adozione delle recenti Linee guida a opera del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aventi a oggetto gli orientamenti per il rilascio delle concessioni ai sensi dell’art. 18 della legge n. 84/1994 e del Regolamento n. 202/2022, conducono ad alcune prime riflessioni giuridiche
di Davide Maresca*
I lavori intorno al Terminal Bettolo, nel porto di Genova (pambianchi - freaklance)
Genova – L’adozione delle recenti Linee guida a opera del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aventi ad oggetto gli orientamenti per il rilascio delle concessioni ai sensi dell’art. 18 della legge n. 84/1994 e del Regolamento n. 202/2022, conducono ad alcune prime riflessioni giuridiche.
Le Linee guida hanno la forma del decreto ministeriale, ossia di una fonte di rango secondario che può, per Costituzione, esclusivamente prevedere dettagli applicativi di norme ordinarie (ossia votate dal Parlamento, nel rispetto del principi di legalità e tassatività). Diverse parti delle linee guida sembrano effettuare una vera e propria ripartizione del “potere pubblico” tra Autorità di sistema portuale, Ministero (che da vigilante diventa di indirizzo, in applicazione del d.lgs. 69/2016, c.d. Decreto Delrio) e Autorità di Regolazione dei Trasporti. Occorre ricordare che l’attribuzione di competenze alle autorità di uno Stato è riservato dalla Costituzione alla legge ordinaria.
Si tratta di una debolezza giuridica che è probabilmente figlia della necessità di “sbloccare” la rata del Pnrr in ragione della condizione posta alla Commissione europea (e non “dalla” Commissione europea) relativa alla previsione di un sistema di aggiudicazione trasparente delle concessioni portuali.
Tuttavia, va segnalato che la stessa Commissione europea sembra aver piegato le regole del Pnrr per conseguire altri obbiettivi di regolazione del mercato. L’approccio è giustificabile esclusivamente nella misura in cui sia in cantiere una riforma più organica che “colmi” questo gap giuridico e consegni al Parlamento un testo che faccia finalmente ordine tra le competenze delle Autorità coinvolte.
Dal provvedimento, che comunque dovrebbe entrare in vigore non prima di un anno, emerge una imprecisione laddove si identifica un ambito di applicazione coincidente con l’art. 18 della legge n. 84/1994 che, secondo le linee guida, coinciderebbe con “le aree demaniali e le banchine comprese in ambito portuale”: ebbene l’art. 18 si occupa solo delle aree presso le quali vengono erogate operazioni portuali ossia, ai sensi dell’art. 16 della stessa legge: “il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale”. Ne sono, quindi escluse tutte le aree portuali ove svengono svolte attività di sbarco e imbarco di passeggeri, come le Stazioni Marittime. Per entrare nel merito dei contenuti, la previsione che fa più “rumore” è quella che prevede che le Autorità di sistema portuale (Adsp) condividano uno schema di Piano economico finanziario con l’Autorità di Regolazione dei Trasporti per ogni concessione da rilasciare e che quest’ultima dia un relativo parere e ne effettui il monitoraggio del relativo adempimento.
Occorre evitare di interpretare queste regole come una “condivisione” del potere di concedente tra Art e Adsp, al fine di dare letture che non sfocino nell’illegittimità della relativa applicazione.
Fermo quanto già affermato in merito al principio di tassatività, se, in ragione dell’ingresso nel mercato di numerosi fondi d’investimento, è ormai arrivato il momento di introdurre la necessità di presentare un piano economico finanziario, il meccanismo di presentazione previsto dalle Linee guida non pare particolarmente chiaro.
Si prevede infatti che lo schema di Pef sia elaborato di base da Art e, su tale base, le Autorità di sistema ne elaborino uno ad hoc ogni volta che intendono procedere ad un affidamento. Art potrà, allora, dare un parere all’Adsp ma esclusivamente sullo schema di Pef (che non si capisce come possa divergere dallo schema generale già predisposto da Art, e nelle more allegato alle Linee guida). In ogni caso, tale funzione di regolazione economica dovrà essere svolta in modo rigoroso evitando che la leva del controllo del Pef sia utilizzata per addentrarsi in funzioni amministrative e/o politiche. In questo contesto, sarà fondamentale anche la funzione del Parlamento (e delle sue commissioni): unico soggetto rispetto al quale le Authority di regolazione rendono conto del proprio operato (considerato che sono indipendenti persino dal governo). Analogo rigore ci si aspetta con riferimento alla funzione consultiva relativa all’estensione delle concessioni in corso: tuttavia si segnala che, nella prassi, le Autorità di sistema portuale hanno sempre proceduto a modificare le concessioni vigenti sostanzialmente assegnandone di “nuove” e, quindi, secondo la pubblicazione “completa” degli avvisi ed una piena messa in concorrenza, con la conseguenza che ci si aspetta che sia una fattispecie del tutto residuale.
Peraltro, la prassi di assegnazione è stata più volte ritenuta dalla Commissione europea compatibile con l’ordinamento dell’Unione europea in materia di mercato interno e aiuti di stato (se pensi ad esempio alla procedura sul Molo VII di Trieste vagliata dalla Commissione senza avvio di alcuna infrazione). Non desta, invece, particolare perplessità il parere del Mit per le concessioni ultra quarantennali: fermo restando il principio di tassatività (anche i pareri vincolanti devono essere previsti dalla legge) i pochi casi di concessione ultra quarantennale incidono evidentemente sulla pianificazione nazionale.
Alcune precisazioni sono necessarie anche con riferimento alla procedura di consultazione che viene suggerita alle Adsp prima di procedere ad un affidamento: desta soprattutto perplessità l’obbligo di pubblicazione delle osservazioni.
Tale prassi è espressamente prevista dall’ordinamento europeo dalla Decisione 2001/12/UE esclusivamente per i Servizi di interesse Economico Generale (Sieg) mentre, nel caso di specie non è chiaro perché si ritenga di includere tale eventualità per attività che sono state soggette a liberalizzazione piena (cosa che non accade per i Sieg che possono subire limitazioni di mercato ai sensi dell’art. 106 Tfue). Con riferimento alla determinazione della durata delle concessioni e all’ipotesi di Pef previsto allegato non può non rilevarsi che sono evidentemente mutuati gli schemi finanziari già usualmente applicati nel mondo aeroportuale, autostradale e ferroviario. Infrastrutture che, tuttavia, presuppongono un affidamento del servizio e non già del mero bene.
Questo si evince dal rilievo di preferenza che, in sede di gara, dovesse essere attribuito al livello di costo del capitale inferiore (Wacc). Tradotto, ad esempio, significa che un grande fondo internazionale (che può avere una leva finanziaria maggiormente sbilanciata sul debito) sarà matematicamente favorito rispetto all’impresa industriale che fa maggiormente ricorso al capitale proprio.
Ecco, questo è il classico esempio di atto di regolazione con un forte sapore di scelta politico/strategica. A questo punto, il governo ha oggi una grande occasione: quella di sistematizzare alcuni spunti apprezzabili contenuti nelle Linee guida (come la necessità di prevedere un Pef e il relativo monitoraggio) e “raddrizzare” gli aspetti applicativi che, in assenza di maggiore chiarezza, rischiano di ingessare le future procedure.
In questo lavoro ci si aspetta che il governo abbia ben presente l’evoluzione attuale del mercato portuale e la sua differenza rispetto alla disciplina delle altre infrastrutture di trasporto.
Le concessioni portuali stanno vivendo un momento di forte trasformazione sotto il profilo giuridico – economico in ragione di due fattori: la necessità di investimenti infrastrutturali (anche solo di manutenzioni e ripristino) ed una concentrazione del mercato a monte e a valle dei porti stessi (vettori e spedizionieri). La concentrazione del mercato implica un maggior potere commerciale per i soggetti “con le spalle più larghe”. La conseguente regolazione deve, quindi, prendere atto del fatto che i rapporti di forza tra utenti (vettori ed Mto che scalano un porto o un terminal) e erogatori delle operazioni di carico e scarico (i concessionari portuali) non hanno nulla a che vedere con i settori nei quali il potere di mercato è rovesciato tra utente (consumatore) e gestore dell’infrastruttura (come un’autostrada). È fondamentale ricordarsi a cosa serve la regolazione.
Per quale motivo lo Stato, ad un certo punto, può decidere di intervenire dentro le dinamiche del libero mercato e cambiarle? Ecco ciò è possibile ai sensi degli art. 56, 106 e 107 Tfue, solo per disciplinare rapporti che, in ragione di uno squilibrio economico imprevisto, non consentono di tutelare interessi pubblici previsti dalla legge.
La misura dell’intervento pubblicistico soggiace quindi alla regola della proporzionalità sintetizzata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia numerose volte. È del tutto evidente che riequilibrare il potere tra utente consumatore e concessionario (ad esempio imponendo tariffe o rendimento massimo pari al costo del capitale impiegato, ecc…) soddisfa l’esigenza di tutelare il consumatore/utente da un rischio di pagare un prezzo non commisurato all’utilizzo dell’infrastruttura in ragione del fatto che l’utente non ha potere negoziale verso il gestore dell’infrastruttura.
Nel caso dei porti, la situazione è rovesciata. Gli utenti dell’infrastruttura portuale non sono le persone né le merci. Gli utenti sono i vettori (o gli Mto che li “sintetizzano”). Tra vettori e terminalisti non pare possa stabilirsi uno squilibrio contrattuale paragonabile a quello tra consumatori e gestori autostradali, aeroportuali o ferroviari.
*Manging partner, Studio legale Maresca & Partners
Per questa ragione le banchine sono assegnate in concessione al termine di una procedura di assegnazione del bene pubblica e competitiva che, però, non è mai arrivata a sindacare gli elementi commerciali tra terminal e navi.
Di questo aspetto non potrà non tenersi conto nella preparazione del modello di Pef (cosa che però pare non emergere dallo schema allegato alle Linee guida) e dall’attività di monitoraggio che ne conseguirà. In conclusione, le linee guida individuano evidentemente esigenze legittime con strumenti che dovrebbero essere più propriamente previsti da uno strumento legislativo e senza la fretta “imposta” dalla Commissione europea nell’ambito del Pnrr.
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