Autotrasporto, pronta la protesta: «Senza aiuti concreti fermiamo i camion»
Genova - Alla fine il Comitato esecutivo dell’Unatras, il coordinamento tra le maggiori sigle dell’autotrasporto in Italia (le sigle aderenti a Conftrasporto: Fai, Fiap, Unitai, e poi Cna Fita, Confartigianato Trasporti, SnaCasartigiani) ha deciso di andare a vedere le carte
Alberto Quarati
Genova - Alla fine il Comitato esecutivo dell’Unatras, il coordinamento tra le maggiori sigle dell’autotrasporto in Italia (le sigle aderenti a Conftrasporto: Fai, Fiap, Unitai, e poi Cna Fita, Confartigianato Trasporti, SnaCasartigiani) ha deciso di andare a vedere le carte. Nel vertice di ieri è nuovamente emerso il malumore che serpeggia nella categoria - messo in evidenza già da alcune iniziative di fermo spontaneo, come è già accaduto nel Lazio e come minacciato da più parti nel Sud Italia, dove risiedono le imprese che percorrono i viaggi più lunghi. La scintilla che rischia di far saltare un sistema è il caro-carburante, col prezzo del gasolio da autotrazione cresciuto in un anno oltre il 22%. L’Unatras chiede al governo crediti d’imposta per compensare i maggiori costi sostenuti per i carburanti, la pubblicazione delle tabelle ministeriali sui costi d’esercizio aggiornati e di conseguenza, soprattutto, l’adeguamento automatico delle tariffe di autotrasporto con l’aumento del gasolio. Bellanova oggi li incontrerà e proverà a portare a una mediazione concreta perché è proprio sulla tariffa che si gioca il tavolo per evitare il fermo del settore: Unatras minaccia «iniziative, compreso lo stop, senza risposte positive» ma vuole comunque andare a vedere le carte.
LA TABELLA DEI COSTI
La battaglia dura da oltre 10 anni: «Allo stato attuale - spiega Antonio Marzo, responsabile nazionale del movimento container per la Confartigianato Trasporti - i costi minimi di riferimento ci sono, ma non vengono applicati obbligatoriamente». Così per la maggior parte delle imprese risulta impossibile «ribaltare sulla committenza» i maggiori costi di questo periodo, visto che già abitualmente buona parte delle imprese lavora in dumping (per effetto tra le altre cose della polverizzazione del settore) e le imprese clienti sono sempre state contrarie all’imposizione di una tariffa base per legge.
Ai prezzi attuali, considerando una media di tre chilometri con un litro di gasolio a 1,38 euro, 1.000 metri percorsi da un Tir costano 46 centesimi di carburante, 25 centesimi di autostrada, 45 di autista, 21 di manutenzione ordinaria (considerata una media di 10 mila chilometri al mese) al netto delle spese accessorie (per esempio il cambio delle gomme). Il totale fa 1,37 euro al chilometro, quindi 13.700 euro al mese se il mezzo ne fa 10 mila in 30 giorni. Se poi a quella cifra si aggiunge, dice Marzo, che per esempio in Liguria un camion per fare un’ora di tragitto spesso ci mette il doppio del tempo per effetto dei cantieri in autostrada, il tema dei costi assume ancora maggiore urgenza. L’insofferenza nella categoria cresce e il timore da più parti è che si possano organizzare manifestazioni di protesta anche oltre il coordinamento delle associazioni di categoria: «In effetti oggi - spiega Maurizio Longo - esiste una norma di legge che prevede l’adeguamento delle tariffe di trasporto quando le variazioni del prezzo del carburante superano il 2%. Il problema è che la mancata applicazione non prevede sanzioni, e si comprende quindi come possa essere disattesa dalle parti che stipulano un contratto. Ma io partirei da un altro punto: Da ieri poi è entrato in vigore un pezzo del Pacchetto Mobilità europeo, destinato a peggiorare ancora le condizioni dell’autotrasporto italiano. Nei fatti, per aprire un’impresa nel nostro settore non sarà più necessario l’obbligo di possedere mezzi per almeno 80 tonnellate o due veicoli composti ciascuno da trattore e semirimorchio. Basteranno i quattro requisiti canonici di idoneità morale, capacità professionale, capacità finanziaria, e stabilimento nel Paese. In pratica si potrà fare un’impresa coi 200 euro per la polizza sulla capacità finanziaria, con il rischio di creare delle scatole vuote e indebolire ulteriormente il sistema. Il 50% delle aziende sta cominciando a rinviare le revisioni dei mezzi: è una percentuale che non si vedeva nemmeno nei Paesi dell’Est al tempo della crisi» —
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