“Cargo aereo da potenziare, ma noi operatori dobbiamo fare un salto in avanti nella digitalizzazione” | INTERVISTA
Per Alessandro Albertini, riconfermato presidente dell’Anama, l’associazione degli spedizionieri aerei, una flessione per il 2023 è prevedibile, anche se ci sono fattori che ammortizzeranno la curva negativa
di Alberto Quarati
Alberto Quarati – Secondo i dati di Assaeroporti, nei primi 11 mesi del 2022 il cargo aereo movimentato in Italia si è attestato sulle 95 mila tonnellate, -2,3% sul 2021 e -5% sul 2019. Per Alessandro Albertini, riconfermato presidente dell’Anama, l’associazione degli spedizionieri aerei, una flessione per il 2023 è prevedibile, anche se ci sono fattori che ammortizzeranno la curva negativa.
Il cargo aereo esporta soprattutto lusso: un rischio per il Made in Italy?
“No, sotto il profilo del lusso non sono preoccupato, perché già altre volte, di fronte a rallentamenti dell’economia, abbiamo visto che la domanda per i prodotti di alta gamma non si è fermata. Diverso ovviamente il discorso su prodotti di largo consumo, mentre sull’import penso che alcuni fattori sosterranno comunque i traffici, in primis la diversificazione delle catene di approvvigionamento che l’industria ha dovuto mettere in atto con i lockdown cinesi e le tensioni internazionali”.
In questo contesto come si deve muovere lo spedizioniere aereo?
”Allora, noi dobbiamo recuperare un po’ di terreno rispetto ai grandi hub europei, specie sul fronte della digitalizzazione, a partire da Malpensa che è il più grande aeroporto cargo italiano. Ma non me la sento di puntare il dito solo sulla burocrazia o la pubblica amministrazione. La verità è che molti di noi non hanno voluto investire su un’interfaccia unico tra operatori, aeroporto, vettore, dogana e Pa: non ne vedevano il ritorno immediato, e adesso abbiamo concorrenti europei che muovono la merce più velocemente di noi. Dobbiamo ripartire, è la mia missione per il 2023, spero potendo fare in parte affidamento sui fondi del Pnrr”.
L’arrivo della Lufthansa nel capitale di Ita non rischia di spostare il baricentro del cargo italiano sulla Germania?
”Indipendentemente da chi entrerà nel capitale di Ita, penso che anzi, il cargo italiano ha margini per essere potenziato. Ci sono barriere geografiche che oggettivamente rendono difficile una marginalizzazione degli aeroporti italiani in questo settore. Se noi fossimo come l’Olanda, piatta e attraversabile da parte a parte in un paio d’ore, la sua osservazione non sarebbe inesatta, ma non è così. Inoltre, non va dimenticata la fetta di mercato lasciata libera dalla compagnia russa AirBridge Cargo, che via Mosca gestiva numerosi voli da e per l’Italia: l’interesse sul nostro Paese è alto, certo sarebbe auspicabile che la nostra ex compagnia di bandiera possa giocare un ruolo centrale”.
Come vede il progetto degli spedizionieri genovesi di insediare un polo cargo all’aeroporto Colombo?
“Qualunque iniziativa imprenditoriale è sempre da vedere bene, perché significa che è sorretta da un visione strategica. Ho letto del progetto, che mi sembra ancora in cantiere. La mia idea è che l’Italia debba avere pochi aeroporti cargo: Malpensa, Bologna, Brescia, Roma. Ma proprio come succede per i porti, è altrettanto necessario che esistano delle specializzazioni. Torino è ad esempio l’aeroporto dell’industria automobilistica e dell’aerospazio, perché è lì che si concentra il movimento di quei pezzi necessari all’industria che devono essere scambiati con rapidità: e insomma, è evidente che Genova abbia le caratteristiche per avere un ruolo simile nell’ambito dell’industria marittima e nautica”.
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