Non solo diga: il porto di Genova adesso allarghi lo sguardo oltre confine
Oggi, per non disperdere i benefici dell'investimento, è vitale allargare il mercato di riferimento al Sud Europa, per una crescita non conflittuale. Occorre intervenire sulle catene logistiche in import-export
di Giorgio Carozzi
Ci sono pietre e pietre. Quelle virtuali, che ci propongono un futuro di speranza, sviluppo produttivo e di lavoro. E quelle reali, che già ci raccontano storie di uomini geniali, di gloria, denaro e affari, di cadute e trionfi sui mari di mezzo mondo. Le prime sono disegnate al computer e lanciano il progetto della nuova diga del porto di Genova.
Le seconde, scoperte durante i lavori, sono riseppellite da qualche mese sotto uno spesso manto di cemento e catrame, dalle parti di Calata Bettolo, dove la Repubblica di San Giorgio il 22 maggio 1638 inaugurò l'operazione Molo Nuovo. Cioè la diga che con una spesa di due milioni di lire genovesi, avrebbe riparato le banchine da furiose mareggiate, fortunali e tempeste distruttrici di vite e di merce. Una situazione insostenibile, che segnalava Genova come l'approdo commerciale meno affidabile per galeoni e velieri dell'epoca. Allora era una questione impellente di sopravvivenza. A distanza di secoli, l'obiettivo non è cambiato: l'imponente infrastruttura della diga foranea dovrebbe consentire al porto di tenere il passo con il mercato in una stagione rallentata, garantire occupazione, consolidare i traffici e conquistarne di nuovi. E molti. È davvero singolare, naturalmente, che almeno una porzione del simbolo stesso della riscossa genovese, l'antico Molo Nuovo, non sia oggi valorizzata ed esposta sotto una campana di vetro a Palazzo San Giorgio. Ecco la nostra storia, che ci consente di disegnare il futuro.
Una campagna d'immagine a costo zero. Alle incalzanti richieste, i vertici dell'Autorità portuale promettono che altri resti di fondazione e muratura del Molo verranno recuperati se, come pare possibile, dovessero riemergere ulteriori tratti archeologici, nell'ambito degli scavi previsti sulla radice del Parco Bettolo – Rugna. Il ricordo dei Moli di Colombo, affettati e poi abbandonati in una discarica del Lagaccio, è inquietante. Che cosa ci siamo persi? Forse le contraddizioni di una città senza memoria e passione. E di passione ne servirà molta per coniugare la visione strategica della nuova diga con il mercato reale.
Lo Stato e Genova, nonostante polemiche e conflittualità permanenti, la loro parte l'hanno assolta in tempo reale. Evaporati i leggendari mecenati della Repubblica di San Giorgio, l'attesa oggi è per i forti investimenti privati in termini di traffici, nuova occupazione, buoni stipendi, sicurezza, opportunità per i giovani e ricadute sul territorio. Ai lamenti delle multinazionali, il porto ha replicato piantando radici nella terra della trasformazione. È rassicurante che i maggiori armatori del pianeta, Aponte e Hapag Lloyd, proprio sul Secolo XIX abbiano confermato la scelta di investire massicciamente su Genova, trasferendo insieme ad altri grandi operatori milioni di container, merce varia, autostrade del mare, rinfuse e basi logistiche. Le condizioni ottimali stanno per essere create proprio nel momento in cui la geopolitica ha di fatto spaccato il commercio tra il blocco occidentale e quello orientale.
Del resto, i problemi molto seri dell'occupazione si risolvono con lo sviluppo e non con il dividersi briciole e miserie. Ci sono forze ed energie da liberare in una stagione in cui il porto vive in una doppia solitudine. Deve decidere, qui e ora. Ma non sa con chi consigliarsi per non soccombere agli interessi particolari. Non si sente capito anche quando si sforza di fare il meglio. Senso di frustrazione, timore di essere colpevolizzato. Lo sbocco è nell'intelligenza della realtà, andare oltre la constatazione dell'esistente. Intelligenza dei meccanismi economici e sociali, intelligenza che si confronta con le complessità e fa i conti con un progetto di crescita, un modello ideale. Non basta ancora. Per anni ci siamo lamentati del porto disegnato a pelle di leopardo, senza una visione di futuro.
Oggi, per non disperdere i benefici dell'investimento, è vitale allargare il mercato di riferimento al Sud Europa, per una crescita non conflittuale. Occorre intervenire sulle catene logistiche in import-export. Servendo solo il mercato nazionale, non si generano i volumi che i nuovi spazi operativi potenzialmente permettono di ricevere. E per allargare il mercato di riferimento sud europeo, l'elemento decisivo è il trasporto ferroviario: riuscire, cioè, a far uscire dal porto potenziato con la nuova diga, almeno l'80% della merce, in una logica di sistema. Le cose che facciamo ogni giorno, possono svanire o indurirsi e sopravvivere. Sono i dettagli e le circostanze a fare la differenza.
— L'autore è membro del board dell'Autorità di Sistema Portuale del mar Ligure occidentale
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