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Le sfide dell’energia

Navi a vela e carburanti a metanolo, la transizione costerà 3.000 miliardi

Nei primi giorni di ottobre, i cantieri cinesi di Dalian (Dsic) hanno consegnato la “New Aden”, prima maxi-petroliera (oltre le 150 mila tonnellate di portata lorda) che per consumare meno sarà aiutata da un sistema di vele rigide da 40 metri di altezza e superficie di 1.200 metri quadrati.

di Alberto Quarati
2 minuti di lettura

La “New Aden”, appena uscita dai cantieri di Dalian. È la prima maxi-petroliera dotata di vele ausiliarie

 

Genova – Nei primi giorni di ottobre, i cantieri cinesi di Dalian (Dsic) hanno consegnato la “New Aden”, prima maxi-petroliera (oltre le 150 mila tonnellate di portata lorda) che per consumare meno sarà aiutata da un sistema di vele rigide da 40 metri di altezza e superficie di 1.200 metri quadrati.

Sempre pochi giorni fa, il gruppo Maersk ha ordinato altre 6 unità con consegna al 2025 che possono bruciare sia carburante tradizionale che metanolo, portando a 19 il portafoglio ordini complessivo per questo tipo di nave. Si tratta di due differenti interpretazioni della transizione energetica, che il settore della navigazione sta affrontando impiegando un mix di tecnologie per arrivare agli obiettivi fissati a Parigi nel 2015 dall’Onu e che prevedono il taglio del 50% delle emissioni di gas serra rispetto al 2008.

Ma quali sono le tecnologie in campo? Proviamo a fare chiarezza. Secondo gli analisti di Clarksons, oggi il 4,5% della flotta globale può navigare con combustibili (gas naturale liquefatto, metanolo, ammoniaca) o propulsioni (l’ausilio di vele o batterie elettriche) alternative, mentre il 37,8% del portafoglio ordini globale prevede l’installazione di sistemi di alimentazione o propulsione alternativi.

Di questo portafoglio, un terzo è costituito da navi predisposte per la navigazione (anche) col gas naturale liquefatto (Gnl, 647 unità), il 2,3% userà il gas di petrolio liquefatto (Gpl, 88 unità), il 3,2% (oltre 200 unità) adotterà altri combustibili alternativi, incluso metanolo (30 unità in ordine), etano (11), biocarburanti (5), idrogeno (6), propulsione a batteria e ibrida (circa 150).

Oggi, spiegano da Srm, centro studi collegato a Intesa Sanpaolo, il Gnl è il principale carburante delle transizione energetica: come si vede dal grafico qui sopra, a parte il caso della Maersk, tutte le grandi compagnie del trasporto container hanno puntato con decisione su questa tecnologia, e in tutto il mondo ci sono già 144 impianti di rifornimento di Gnl per navi attivi, e 94 previsti (compreso Vado Ligure). Ora che il prezzo del gas è fuori controllo si può fare marcia indietro? No, perché nelle tre linee di evoluzione dei carburanti alternativi individuate da Srm (gas leggeri, gas pesanti, carburanti sintetici o biologici), il Gnl è l’unico che ha una produzione, una rete, un’intensità energetica comparabile al carburante tradizionale.

Per tutto il resto - la stima è di Clarksons - servono 3.000 miliardi di dollari, principalmente per avviare i processi produttivi in grado di alimentare la flotta globale. Nei gas leggeri (quindi con densità rispetto all’aria inferiore allo 0,8), il Gnl dovrà essere progressivamente integrato dal bio-metano (prodotto per esempio dai rifiuti organici). Il punto di arrivo dei gas leggeri, dicono da Srm, sarà l’idrogeno verde, cioè prodotto da un processo di elettrolisi dell’acqua, ossia la separazione delle molecole di idrogeno e ossigeno attraverso l’energia elettrica.

Ma per un processo industriale servirebbe una mole enorme, di questa energia, che dovrà essere prodotta da fonti rinnovabili, perché l’obiettivo è azzerare le emissioni di CO2. L’idrogeno verde si differenzia da quello blu o grigio, ottenuto scindendo il gas metano, quindi con il rilascio di anidride carbonica (blu se la CO2 è catturata, grigio se viene rilasciata in atmosfera).

Tra i gas pesanti (densità rispetto all’aria oltre lo 0,8) la strada è (più che il Gpl destinato perlopiù ad alimentare le navi che lo trasportano) quella del metanolo, composto chimico diffusissimo (ne vengono prodotte 200 mila tonnellate al giorno, secondo il Methanol Institute), che si ottiene attraverso la gassificazione del carbone. La sua versione verde può essere prodotta da rifiuti (biometanolo) o per esempio dall’idrogenazione (ma con idrogeno verde) dei gas reflui industriali.

Attraverso un sistema di ingegneria chimica (reformer) è poi possibile miscelare metanolo e acqua per produrre idrogeno. L’alternativa è l’ammoniaca, ma anche qui, dovrà essere prodotta in maniera verde, ad esempio con l’idrogeno prodotto dall’elettrolisi dell’acqua e l’azoto separato dall’aria.

Ovviamente, con energia da fonti rinnovabili. In tutti i casi, si è a una fase sperimentale e la distribuzione è a zero, tanto che Maersk ha avviato 7 diverse collaborazioni con gruppi industriali per poter avere a disposizione il biometanolo necessario per le proprie navi. Infine, ma meno frequentati come ipotesi per i costi di produzione fuori scala, ci sono i carburanti sintetici, ma il principio rimane lo stesso: per produrli, serve energia da rinnovabili. Altrimenti si torna alla casella di partenza. 

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